Allora, stando al Rapporto comuni rinnovabili 2011 presentato ieri da Legambiente in Italia il ricorso alle energie rinnovabili è ormai molto diffuso, soprattutto per quel che riguarda la microgenerazione di energia, ovvero i piccoli impianti domestici. Per cui oltre al vero e proprio boom del solare e dell'eolico si è registrato anche un incremento degli impianti a biomassa, a biogas e geotermici.
Tutti questi impianti nel 2010 hanno coperto ben il 22% del fabbisogno elettrico complessivo italiano, e ormai in quasi tutti i comuni italiani (94%) c'è almeno un impianto che produce energia da una fonte rinnovabile. Col risultato (non splendido ma incoraggiante) che nel nostro paese sono 20 i comuni 100% rinnovabili e 964 quelli in grado di produrre più elettricità di quella che consumano grazie ad una fonte rinnovabile, mentre sono 27 quelli che hanno un surplus di energia termica grazie a reti di teleriscaldamento collegati ad impianti geotermici o a biomasse.
Sempre ieri negli States è stato presentato dall'organizzazione no-profit Pew Charitable Trusts il Rapporto 2010 sugli investimenti in energia rinnovabile nei Paesi del G-20. Ebbene nella classifica mondiale l'Italia si piazza al quarto posto per volume di investimenti privati (capitali stranieri inclusi, una volta tanto) nel settore delle rinnovabili: circa 10,5 miliardi di euro, quasi tutti spartiti tra solare (6,5) e eolico (3,4). Chiaramente parte del merito di questa performance va ai cospicui, almeno fino ad ora, incentivi statali.
Nelle ultime settimane prima i problemi alla centrale di Fukushima poi l'intervento militare di una coalizione occidentale in Libia hanno ricordato al mondo quanto il petrolio sia ancora molto, troppo, importante: il nucleare è tornato ad essere ritenuto poco affidabile per il futuro, mentre le riserve di metano e di ottimo petrolio libico (il più economico da raffinare) sembrano essere state la ragione in più che ha convinto francesi, americani e inglesi ad intervenire contro Gheddafi. I combustibili fossili alla faccia di Kyoto continuano a farla da padrone.
Anche se probabilmente le tanto ventilate e criticate riduzioni delle tariffe incentivanti saranno limate e rese più graduali, l'atteggiamento del governo italiano verso la green economy sembra orientato più che al sostegno al contenimento del boom delle rinnovabili, che forse insinua gli interessi legati al ritorno dell'Italia al nucleare così come gli interessi di alcune nostre grandi compagnie che operano nel quasi-monopolistico mercato dell'energia e che presto potrebbero vedersi scippate di molti clienti che l'energia stanno imparando a procurarsela da soli. L'idea sostenuta dal governo alla base delle riduzioni agli incentivi prefigurate dal c.d decreto Romani (entrato in vigore oggi) e che verranno definite col IV Conto energia che sarà approvato a breve, è che gli incentivi alle rinnovabili gravino troppo sulle bollette dei cittadini. Ma la verità è un'altra: sulla bolletta complessivamente pesano di più i costi per lo smantellamento del nucleare deciso nell'86 (ancora??!.. ecco quanto costa il nucleare) insieme ai costi per il sostegno alla produzione di energia elettrica a partire dai residui di raffinazione e da idrocarburi (il famigerato Cip6). E quindi dal punto di vista dell'interesse pubblico non si capisce perché a essere ridimensionate debbano essere proprio quelle componenti che sulla bolletta incidono meno di altre e che generano sviluppo e posti di lavoro, mentre per esempio non si tocca un centesimo del Cip6. Lecito quindi sospettare il governo di orientamento ostile verso le rinnovabili, e più accondiscendente verso produttori e distributori di energia da fonti combustibili fossili.
La questione di una maggiore indipendenza e sicurezza energetica è una priorità del paese - ora più che mai visto che la rivolta in Libia almeno al momento crea incertezze sul futuro di parte dei nostri approvvigionamenti di gas e petrolio. Così dopo gli incidenti alla centrale di Fukushima il governo ha pensato bene di lanciare una moratoria di un anno sul ritorno al nucleare, in modo da stare sicuri che gli italiani ancora una volta non si esprimeranno, non andando a votare i tre referendum calendarizzati il 12 e 13 giugno prossimi (tra cui c'è anche quello sul legittimo impedimento). E' forte il sospetto che una volta evitato l'election day che avrebbe comportato l'accorpamento con le amministrative e una volta congelato con la moratoria il dibattito sul nucleare, il governo speri così di riuscire nel boicottaggio dei referendum. Per "proteggere" il ritorno al nucleare e rilanciarlo quando si sarà esaurita l'onda emotiva post-Fukushima? O solo per evitare che i cittadini si esprimano in massa anche sul legittimo impedimento? O, ancora, solo per evitare che gli oppositori del centro-destra abbiano un'arma in più molto efficace nella prossima campagna elettorale per le amministrative? Quale che sia la verità, la strada verso un variegato, affidabile ed efficiente mix energetico (per cui il governo non ha mai nemmeno pensato di stilare un piano energetico organico e sostenibile) sembra subordinata ad interessi privati così come a qualsiasi altro punto dell'agenda politica interna.
Ma per fortuna poi ci sono i cittadini, che sempre più scommettono sulle rinnovabili e che però, oppure proprio per questo, devono sorbirsi continui rincari per le bollette di luce e gas.
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