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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

domenica 14 novembre 2010

# Il vero scandalo? Che probabilmente continueremo ad essere elettori piccoli piccoli


Il vero scandalo di questi giorni? Non è il privato di Berlusconi, nè quello di Brunetta. Non sono i colpi inferti al prestigio dell'Italia nel mondo per le singolari anomalie del leader che gli italiani si sono scelti. Non è il fatto che il Presidente del Consiglio sia circondato da gente del calibro di Lele Mora ed Emilio Fede. Non è il fatto che Rocco Siffredi offra il suo aiuto al Cavaliere, da sessuomane a sessuomane. Non è il fatto che Ruby sia tutti i giorni sui giornali. Non è il fatto che il Ministro degli Interni sia stato praticamente smentito, se non sbugiardato, sulla versione dei fatti relativi all'affido di Ruby riferita in Parlamento. Non è l'operato discutibile di altri membri dell'esecutivo (solo per rimanere agli ultimi giorni vedasi Bondi, la Brambilla o l'ormai ex Bertolaso). Non è il fatto che il primo partito di maggioranza sia ormai allo sfascio, tra nuovi scandali che settimana dopo settimana investono sempre e soprattutto suoi esponenti - dai coordinatori nazionali fino ai consiglieri comunali -, e emigrazioni di massa, spesso poco genuine, verso altri e più promettenti lidi; a mostrare assoluta e incontestabile fedeltà rimagono solo alcuni colonnelli, rimasti soli nella vicinanza ad un uomo a sua volta sempre più solo (leggi la brillante analisi di Ernesto Galli Della Loggia: Solitudine di un Leader - fase conclusiva di una stagione politica).
Non è la paralisi totale dell'attività di governo e più in generale di tutta la politica, già prima alquanto "deviata" e imperniata sulle vicende personali del Premier. Non è il fatto che il destino della legislatura sia legato all'esito della sfida personale tra due ex-alleati. Non è il fatto che ora si parli di ipotesi improbabili di governi Letta o Tremonti, o Maroni, o Alfano, o peggio, di elezioni ad personam per rinnovare solo un ramo del Parlamento (la Camera), laddove Berlusconi non ha una maggioranza certa. Non è il fatto che ogni partito (nessun escluso) guardi alla eventualità delle elezioni semplicemente in base alla propria convenienza sull'andare alle urne ora piuttosto che tra un po'. Non è il fatto che la politica parli e si occupi sempre e solo di politica.

Il vero scandalo è che in tutto questo bailamme è sempre più concreto il rischio che, anche in nome dell'avversione a governi tecnici che sovvertirebbero la volontà popolare, si vada a votare, quando sarà, con la stessa legge elettorale attualmente in vigore, quella Legge Calderoli (c.d porcellum) che oltre a prevedere uno sproporzionato premio di maggioranza da attribuire non più al partito ma alla coalizione vincente alla Camera (ma se possibile anche al Senato, ), ha soprattutto la gravissima colpa di scippare i cittadini del diritto al voto di preferenza, ovvero della possibilità di scegliere, ovvero del reale potere elettorale. Un furto di sovranità ai danni del popolo e a favore delle segreterie dei partiti, che predispondendo le liste bloccate di fatto decidono a tavolino quali automi mandare sui banchi dei due rami del Parlamento.
Un meccanismo quello delle liste bloccate che sottrae gli eletti al giudizio degli elettori, garantendo ai primi "l'impunità" di fronte alle loro mancanze nell'esecuzione del mandato popolare e di conseguenza contribuendo all'implementazione della visione berlusconiana dell'organo legislativo, la cui attività si è ridotta a mera funzione notarile, alla ratifica dei decreti del governo e ad occuparsi al massimo di provvedimenti inerenti ai salvacondotti giudiziari necessari al Premier. Per di più il fatto che deputati e senatori siano responsabili più verso le segreterie dei partiti che verso gli elettori, insieme ad altre peculiarità di questa legislatura, come il monopolio tematico imposto dal Premier o la mancanza di copertura finanziaria per qualsivoglia eventuale provvedimento, ha concorso all'effettiva attuale atrofia del Parlamento, dove ormai la settimana lavorativa non è corta, ma cortissima. E improduttiva. Tanto per dare un idea Sergio Rizzo di recente ha fatto due conti e ha scoperto che nel 2010 Camera e Senato, depurando la produzione legislativa dalle conversioni dei decreti leggi del governo, dalle ratifiche di trattati internazionali e da altri atti dovuti, ha prodotto non più di una decina di leggi. Un Parlamento stitico.

La paura - il terrore - che la legge elettorale neanche questa volta verrà cambiata non è alimentata solo dal sospetto che il corso degli eventi ci trascinerà alle elezioni senza darci il tempo di affrontare seriamente questo piccolo dettaglio del nostro sistema democratico, ma anche dalla netta sensazione che molti dei partiti attualmente rappresentati in Parlamento, checché ne dicano, in fondo in fondo non sembrino essere molto convinti circa l'urgenza di modificare il sistema. Di certo sono di altro avviso Pdl e Lega, che nel 2005 votando la Legge Calderoli svoltarono verso il proporzionale, dove i due partiti, coalizzati, erano sicuri di ottenere risultati migliori. Di certo è di altro avviso l'Udc, che è geneticamente contraria ad un ritorno ad un sistema (più) maggioritario, che tenderebbe al bipolarismo. Mentre dal Pd, anche e soprattutto in materia di legge elettorale, non ci si può certo aspettare una posizione chiara e univoca. Ci mancherebbe. E poi diciamolo: la possibilità di far decidere i futuri senatori e deputati non alle urne ma ai dirigenti dei partiti è un'opzione molto più comoda e più pratica. E' una tentazione cui per definizione sono sensibili tutti i partiti, di qualsiasi colore.
A completare il quadro la quasi-certezza (e infinita tristezza) che un ipotetico ricorso all'arma del referendum per imporre per iniziativa popolare un cambiamento della legge elettorale possa rivelarsi un clamoroso flop, così come è sempre accaduto negli ultimi 15 anni, in cui i referendum elettorali non hanno mai raggiunto il quorum. Tra l'altro col referendum si potrebbe soltanto abrogare il premio di maggioranza. Per reintrodurre il voto di preferenza occorrerebbe una proposta di legge di iniziativa popolare. Figuriamoci.
Il vero scandalo quindi è che già si stanno ponendo le basi affinché anche dopo le prossime elezioni si possa ricreare una situazione molto simile all'attuale, dove la democrazia soccombe alla partitocrazia*. E così continueremo ad assistere ai non-scandali di cui sopra.


Di seguito alcuni appelli e petizioni per cambiare l'attuale legge elettorale, o per lo meno per sensibilizzare l'opinione pubblica:
Appello per l'uninominale, iniziativa di 42 parlamentari bipartisan, principalmente dei radicali del Pd e dei finiani.
Ridateci la nostra democrazia, su iniziativa della Valigia Blu (qui la relativa pagina Facebook, che attualmente "piace" a quasi 28.000 persone).
Ridateci il diritto di scegliere , petizione sul sito avaaz.org.
Mai più alle urne con questa legge, iniziativa di Libertà e Giustizia.


* A proposito di partitocrazia, Silvio Berlusconi, grande fautore dell'attuale legge elettorale, contrarissimo ad una sua modifica, riferendosi a Fini e compagni oggi ha dichiarato: "Ci sono dei professionisti della politica che possono aspirare a diventare presidente del Consiglio, o della Repubblica, solo grazie a compromessi di palazzo, ma questa non è democrazia: è solo partitocrazia".
Certa gente dovrebbe sciacquarsi la bocca prima di parlare di democrazia in antitesi alla partitocrazia.

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