La scorsa primavera un ministro di questo governo per colpa di un appartamento vista Colosseo si è trovato lambito da uno scandalo a base di corruzione, appalti e riciclaggio, e in breve tempo è stato costretto alle dimissioni perché, sue storiche parole, non poteva "sospettare di abitare in una casa pagata in parte da altri" (per la precisione con assegni circolari dal conto dell'affarista della cricca Diego Anemone). Quel ministro non era la prima volta che era costretto a dimettersi dalla guida di uno dei più importanti dicasteri di un governo Berlusconi: tra il 2001 ed il 2002 in pochi mesi prima fece vergognare l'Italia gestendo non proprio con saggezza e savoir-faire la sicurezza del tristemente noto G8 di Genova, poi, finito al centro delle polemiche per aver tolto la scorta ad un giuslavorista poco dopo ucciso dalle nuove Br, definì l'assassinato rompicoglioni e quindi si dimise. A completare il quadro un porto ed un aeroporto della sua terra natìa nonchè suo feudo elettorale che, seppure di dubbia utilità per quella comunità e per quel territorio, si sono sviluppati parallelamente alla sua carriera politica, facendo sorgere qualche dubbio sul disinteresse e sull'integrità morale con cui questo personaggio affronta il suo impegno al servizio dello Stato.
Ora, in un paese normale governato da leader e partiti normali, se questo ex-ministro appena dieci mesi dopo il suo esilio forzato si ripresenta sulla scena politica facendo pure un certo clamore, puntando i piedi senza pudore e minacciando di formare un gruppo autonomo all'interno del suo partito, accusandolo di non essere mai stato il partito della gente, il leader di quel partito dovrebbe fargli gentilmente notare che non è il caso, che un suo ritorno in politica è ancora fuori luogo, prematuro e imbarazzante, che non può certo venire lui a dare lezioni su che cos'è e come si fa la politica al servizio della gente.
Purtroppo però la realtà è che quel leader ha pure lui le sue grane e pure lui sembra poco avvezzo a manifestazioni di pudore, e quindi di fronte al figliol prodigo è disarmato, e non è certo nella posizione di rilevare alcuna delle incongruenze "etiche" e delle ipocrisie della predica che da quel pulpito proviene. D'altronde a pensarci bene quello dei "pulpiti incrociati" col presidente-padrone sembra essere uno dei meccanismi fondanti, predominanti e determinanti di quel partito.
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