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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

martedì 30 novembre 2010

VIDEOSTORIE L'ultimo frame

Parlando del suicidio del padre avvenuto nel 1946 in un intervista rilasciata tre anni fa ebbe a dire:

"Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena".

Mario Monicelli aveva peraltro espresso più volte la sua paura non tanto per la morte, quanto per la possibilità di un lento spegnersi, di un crescente non-vivere a cui lo avrebbe portato l'inevitabile decadimento fisico e mentale. Questa prospettiva proprio non la sopportava.

Il gesto drammatico (per noi, non di certo per un disincantato come lui) con cui Monicelli ha chiuso la sua vicenda umana ha quindi una sua terribile logica, e può solo essere il frutto di una lucidità ancora intatta, e maledettamente capace di fargli comprendere pienamente la cruda realtà di una malattia terminale che lo stava portando via da quella vita dignitosa che era l'unica che per lui valesse la pena vivere.

"Solo gli stronzi muoiono" diceva spesso.

Ma è comunque dura immaginare e realizzare che ieri sera in una Roma buia e piovosa a scavalcare la ringhiera di un balcone e a volare giù dal quinto piano sia stato un novantacinquenne che ha vissuto una grande vita, uno dei padri della commedia italiana, un autore e regista che lascia un patrimonio artistico ineguagliabile, un uomo che veramente come pochi altri ha saputo fare ridere e piangere, un uomo che quindi sapeva tratteggiare quanto di più leggero e divertente, e quanto di più elevato e misero c'è nell'esistenza umana (e lo faceva da italiano che raccontava gli italiani). Un punto di riferimento per intere generazioni, un artista immortale.

Non ha lasciato messaggi, non era da lui, ma è come se avesse detto al mondo che basta così, che aveva fatto e avuto più che abbastanza nella vita. Che si può capire quando ormai tutti i giochi sono chiusi, anche se magari non lo si può accettare. Quel volo terminato sull'asfalto bagnato non è che l'ultimo frame che ci lascia Mario Monicelli, un ultimo spunto di emozione e riflessione sulla condizione umana, la quale, da che mondo e mondo, si può raccontare o con la commedia, o con la tragedia.










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