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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

domenica 10 aprile 2011

VERSUS Il diverso destino di due disegni di legge

Il primo marzo 2010 il governo approvò il disegno di legge 2156, il c.d. ddl anticorruzione, che, recependo una serie di principi statuiti nella Convenzione Onu contro la corruzione firmata dall'Italia nel 2003, mira ad inasprire le pene e le misure di contrasto alla corruzione, introducendo inoltre una banca dati nazionale sui contratti pubblici che possa garantire la trasparenza assoluta negli appalti, ed anche le "liste pulite" in Parlamento, non in senso assoluto - per carità - ma perlomeno vietando a chi ha subito una condanna per corruzione, concussione, peculato o malversazione la possibilità per i 5 anni successivi di candidarsi alla Camera o al Senato.
Dopo l'approvazione del Consiglio dei ministri di 13 mesi fa, il ddl è passato all'esame del Parlamento. E qui è cominciato un cammino lentissimo nonostante ogni tanto qualche esponente dell'esecutivo o della maggioranza abbia sollecitato o sbandierato l'imminente velocizzazione e conclusione dell'iter parlamentare, evidentemente a puri scopi propagandistici.






Checché ne dica Vizzini (Pdl) , che presiede la Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, stando alle ultime notizie nonostante decine di sedute e audizioni il ddl sembra veramente essersi arenato in qualche meandro del Senato, dove ammuffisce dai primi di maggio 2010: le ultime due riunioni sul ddl 2156 - una nella Commissione presieduta da Vizzini e un'altra in Commissione Giustizia presieduta dal collega di partito Berselli - risalgono al 23 novembre e 18 gennaio scorsi e sono state sedute-lampo necessarie giusto a prendere atto che dopo più di 4 mesi ancora non era ancora pervenuto il pareri sugli emendamenti richiesto alla Commissione bilancio, presieduta anch'essa da un senatore del Pdl (Azzolini).

Nella classifica di Transparency International stilata in base all'indice di corruzione percepita l'Italia si piazza quest'anno al 67esimo posto, dietro Ghana, Samoa e Rwanda, perdendo 12 posizioni rispetto al 2008, e ben 38 rispetto al 2001.
La diffusa corruzione nella pubblica amministrazione in Italia è un cancro che costa al paese 60 miliardi di euro all'anno, a cui vanno aggiunti anche il costo dei mancati investimenti esteri (i capitali stranieri fuggono da contesti del genere), il "costo" di tutto il denaro pubblico che viene dirottato in usi improduttivi, il costo sociale per la maggior facilità con cui in un ambito corrotto le mafie riescono ad infiltrarsi nella catena della pubblica amministrazione e, non ultimo, il costo della crescente sfiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, che peraltro vengono ben poco invogliati alla rettitudine. A questa catastrofe economico-sociale si affianca la catastrofe giuridica: negli ultimi anni il numero di denunce e condanne relative a reati di corruzione è andando costantemente assottigliandosi. Se nel 2001 le condanne per il reato di corruzione diventate definitive sono state 354, nel 2008 sono state 178, mentre quelle per il reato di concussione sono state 158 nel 2001 e 77 nel 2008. Numeri sempre più irrisori di condannati per un reato che allo Stato costa ogni anno decine di miliardi di euro. La causa di questa epidemia di innocenza di deve anche e soprattutto al sistematico smantellamento della legislazione in materia portato avanti negli ultimi 17 anni.

Quindi nonostante il disegno di legge 2156 sia sicuramente incompleto e perfettibile (per esempio non contempla l'introduzione del reato di "traffico d'influenza", o di "retribuzione illecita", esistente in molti paesi ma non in Italia, e per cui politici e funzionari possono essere condannati per il semplice fatto di aver accettato regali o soldi -vd la casa di Scajola-, ovvero senza che i magistrati debbano appurare con quale atto o con quale favore il politico o il burocrate abbia contraccambiato la gentile elargizione) la sua adozione dovrebbe essere una priorità assoluta, non solo per cercare di tappare una gravissima falla che impoverisce e indebolisce il paese intero, ma anche per ridare credibilità e un minimo di prestigio alle istituzioni e allo stesso governo.

Ci vorrebbe soltanto quello stesso piglio mostrato in queste ultime settimane dalla maggioranza, decisa a far entrare rapidamente in vigore le norme sul processo breve, ovvero quel progetto di riforma della durata dei processi la cui lungimiranza si coglie già alla lettura dei nomi che firmarono a suo tempo la presentazione del disegno di legge (Gasparri-Quagliariello-Bricolo) e che rischia di mandare in prescrizione non solo i processi Mediaset e Mills che vedono imputato Berlusconi, ma anche i processi per i crac Parmalat e Cirio, quello sulla tentata scalata ad Antonveneta, quelli per il disastro ferroviario di Viareggio e per il rogo della Thyssen di Torino, o ancora quelli per i crolli a L'Aquila; col processo breve ampie garanzie d'impunità saranno assicurate anche a chi si è macchiato di tanti altri reati gravi, che vanno dal traffico illecito di rifiuti ai reati informatici, dallo sfruttamento della prostituzione agli aborti clandestini.

Ebbene il disegno di legge, dopo essere stato approvato col voto di fiducia dal Senato nel gennaio 2010, era poi stato anch'esso accantonato dalla maggioranza, visto che è stato fermo per quasi un anno in Commissione Giustizia della Camera. Si vede che per un annetto ridurre per legge la durata dei processi ha smesso di essere una priorità per il paese. Poi per magia, e solo casualmente dopo pochi giorni dalla parziale bocciatura del legittimo impedimento da parte della Corte Costituzionale, il processo breve è tornato d'improvviso ad essere il perno centrale dell'impellente riforma della giustizia che deve salvare l'Italia dal baratro e gli italiani dalla barbarie della giustizia lenta.

Rilanciata ai primi di febbraio l'intenzione del governo e della maggioranza di far approvare il disegno di legge, con le parole del Guardasigilli Alfano così come con una richiesta ufficiale del Pdl di una rapida calendarizzazione in Commissione Giustizia, quest'ultima ha ripreso l'esame del ddl il 15 febbraio. Il 16 marzo il relatore Paniz ha depositato due emendamenti che di fatto cancellano l'estinzione dei processi allo scadere dei termini e fanno sì che la nuova norma sostanzialmente preveda soltanto una prescrizione dei reati ridotta per gli incensurati, smascherando finalmente la norma per quello che veramente avrebbe dovuto essere, ovvero non un intervento per ridurre in generale i tempi di giudizio nella giustizia italiana ma un provvedimento calibrato ad hoc per estinguere i processi del premier più urgenti da annientare, Mills in primis. Il 22 marzo l'emendamento di Paniz è stato approvato. Il ddl sul processo breve è così finalmente pronto per essere discusso e approvato anche alla Camera. Il 30 marzo l'aula di Montecitorio, con una prova di forza della maggioranza, approva l'inversione dell'ordine del giorno dei lavori dell'aula, permettendo così l'immediata discussione del processo breve. Ma si scatenano proteste furibonde dentro e fuori la Camera dei deputati, proteste e turbolenze che, complice l'esiguità attuale della maggioranza, che impone la necessità della presenza di tutti i ministri-deputati ad ogni votazione, portano alla non approvazione il giorno seguente del processo verbale della seduta del giorno prima, e, visto il clima incandescente, al rinvio da parte del Presidente Fini della discussione sul processo breve al 5 aprile. Quel giorno l'aula si riunisce nuovamente per affrontare insieme al voto sul conflitto d'attribuzione sul processo Ruby la prescrizione breve per gli incensurati, scatenando nuovamente proteste e manifestazioni a Montecitorio ed in altre piazza romane. Il 6 aprile, non bastassero la Comunitaria 2010 e la riforma della finanziaria, a tentar di rallentare l'iter spedito del processo breve ci si mettono pure le opposizioni che col loro ostruzionismo creativo obbligano la Camera dei deputati ad una seduta notturna che ha poi portato all'esiguo risultato di 4 emendamenti votati (e respinti) su 200 presentati dalla stessa maggioranza. Il 7 aprile è continuato il tour de force per la discussione e la votazione sugli emendamenti.
Ora, appena due mesi dopo la resurrezione del provvedimento, nonostante le paure di Berlusconi, che teme qualche altro rallentamento imposto dall'ostruzionismo dell'opposizione o dai rilievi del Quirinale, o qualche altro sgambetto del nemico Fini o magari un altro passo falso della sua risicata e poco compatta maggioranza, dovremmo esserci: questa è la settimana decisiva che dovrebbe portare all'approvazione della Camera della prescrizione breve per gli incensurati. Poi il testo tornerà al Senato per l'approvazione definitiva (che sicuramente sarà rapida e senza intoppi). Un grande successo. Perché quando si vuole, nonostante mille difficoltà, il bene dei cittadini lo si sa fare eccome, e anche rapidamente.



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