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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

lunedì 7 marzo 2011

MEMENTO Bloggers coraggiosi

Si discute molto del ruolo cruciale che sta avendo internet - tramite la blogosfera, twitter ma anche facebook e youtube - nel propagare le notizie e nel coagulare il risentimento delle popolazioni che stanno dando vita alle rivoluzioni e alle sommosse che stanno agitando il Nord Africa ed il Medio Oriente. Da una parte c'è chi considera l'apporto della rete limitato ad una valvola di sfogo capacissima di dare corpo alle voci "contro", ma che ancora non riesce ad aggregare consensi intorno a proposte costruttive (come il post-Mubarak e il post-Ben Ali starebbero dimostrando), dall'altra c'è chi invece sottolinea come internet, e i social media in particolare, abbiano l'innegabile merito di aver reso possibile un dialogo pubblico sulla politica, impensabile fino a pochi anni fa in paesi governati da regimi illiberali. C'è poi chi sottolinea il prezioso ruolo che stanno avendo canali di rapida diffusione di notizie e immagini come twitter e youtube nel far conoscere al mondo quel che sta accadendo in quel più complesso scenario che si è venuto a creare in Libia.
Tuttavia è evidente che per avere una idea e una misura chiara di quanta parte del "merito" degli sconvolgimenti del Maghreb sia da ascrivere alla diffusione di internet presso quelle giovani popolazioni occorrerà aspettare ancora molto tempo, anche al fine di avere un quadro più chiaro degli scenari politici e sociali a cui questi movimenti di protesta avranno portato.
Comunque sia le rivoluzioni del gelsomino rimarranno storicamente legate ad alcune vicende nate sul web, come per esempio quella del trentenne Slim Amamou, uno degli attivisti online più famosi della Tunisia, lo scorso gennaio rapidamente passato dalla panca di una cella alla poltrona di Ministro per le politiche giovanili, o come quella del suo coetaneo Wael Ghoneim, l'attivista online (ma anche dirigente di Google Middle East) che aprendo su facebook la pagina We are all Khaled Said - in memoria di un 28enne morto dopo essere stato pestato brutalmente dalla polizia egiziana il 6 giugno scorso in circostanze poco chiare - e coordinando sempre tramite il social network l'organizzazione di alcune delle manifestazioni di piazza che hanno segnato la rivoluzione egiziana, è presto assurto a uno dei principali fautori della diffusione via internet del risentimento del popolo egiziano contro il regime. Così che dopo la manifestazione che si è tenuta al Cairo il 25 gennaio non si sono più avute notizie di lui: è riapparso solo dopo dodici giorni, che ha raccontato di aver trascorso bendato in una cella di isolamento. L'otto febbraio ha fatto il suo ingresso trionfale in una Piazza Tahir stracolma di mezzo milione di persone, ma se è diventato uno dei volti della rivoluzione egiziana è soprattutto grazie alla commovente intervista televisiva rilasciata in diretta un paio di giorni dopo la sua liberazione, e che si conclude con le lacrime per i tanti compagni morti negli scontri di quei giorni convulsi. Si ritiene che questi fotogrammi siano stati tra le bordate decisive che hanno affondato il regime già traballante di Mubarak. Tuttavia il 18 febbraio a Wael non è stato permesso di salire sul palco allestito in Piazza Tahir per i festeggiamenti per la caduta di Mubarak: ad allontanarlo il servizio d'ordine predisposto dal teologo islamico Youssef Al-Qardaoui. E probabilmente, purtroppo, anche quest'ultimo episodio accaduto a Wael è significativo di quel che succede in Egitto.


(gli ultimi commoventi secondi della storica intervista a Wael Ghoneim)

Anche per l'effetto domino che stanno avendo le rivolte del Maghreb, ci sono in giro per il mondo tante altre storie che ci raccontano del civismo e del coraggio di attivisti della rete, che spesso nel nome della democrazia e della rivendicazione dei diritti umani e civili finiscono per infastidire il potere al punto da pagarne le conseguenze. Conseguenze fisiche. Conseguenze offline.
Il sito threatened.globalvoicesonline.org monitora attentamente la situazione dei bloggers minacciati o arrestati (o peggio) in tutto il mondo: attualmente il suo database conta 272 nomi. Le (recenti) storie di alcuni di questi bloggers coraggiosi possono aiutare a capire che aria tira per la libertà del web e delle persone in quei paesi.

Asma Al Ghoul è una giornalista palestinese di 28 anni che vive a Gaza City. Sul suo blog persegue la sua battaglia non tanto contro Israele quanto piuttosto contro i mali interni alla realtà palestinese: la corruzione che dilaga in Fatah e nel governo, il radicalismo islamico di Hamas nascosto dietro il pretesto anti-israeliano, la cultura integralista e i tabù religiosi che degradano la condizione femminile. Il tutto al caro prezzo di continue minacce di morte che la tormentano. Ovviamente si è schierata a sostegno dei bloggers e dei ribelli egiziani, per i quali insieme ad altri lo scorso 31 gennaio è scesa in piazza. Il che gli ha procurato seri problemi con la polizia palestinese (Mubarak non era ancora caduto, per cui poteva essere ritenuto sconveniente manifestare in Palestina contro il grande e vicino alleato): è stata trattenuta in caserma per sette ore, condite di percosse, poiché tra le altre cose Asma è dal 2006 che ha deciso di non portare più l'hijab (il velo islamico).
Ma per fortuna Asma a Gaza non è sola, e attorno a lei si sta coagulando una giovanissima generazione di attivisti online, che chissà che col tempo non riesca a far ritrovare al popolo palestinese quella forza ed unità d'intenti che la morsa israeliana e la faida interna tra Fatah e Hamas hanno pian piano prosciugato.

In Cisgiordania, all'inizio di novembre 2010, uno studente di 26 anni che si firmava come Waleed Al-Husseini è stato arrestato in un internet cafè dalle forze di sicurezza palestinesi dopo almeno 3 mesi di indagini: è accusato di diffondere l'ateismo e di aver insultato non solo l'Islam ma tutte e tre le religioni monoteistiche. Il suo blog (Proud-A: Proud to be Atheist) è ancora online, e nell'ultimo post scritto è riassunta la summa delle convinzioni personali che lo hanno portato ad abbandonare la religione musulmana in nome di un più sano, umano e razionale ateismo. Purtroppo per Waleed quei contenuti inneggianti ad una vita più libera, normale e felice senza la religione (almeno secondo lui) - contenuti espressi anche con una certa creatività, come con una parafrasi di alcuni versi del Corano, o con una sequenza di vignette sulla relativa pagina facebook -evidentemente hanno avuto troppa risonanza. Per la sua liberazione è stata avviata una campagna su facebook e una petizione online.

La Siria di Bashar al Assad è attualmente considerata come uno dei maggiori paesi nemici di internet: le autorità siriane impongono il blocco su centinaia di siti, e solo poche settimane fa hanno sbloccato l'accesso a siti come facebook, youtube e addirittura wikipedia. Soprattutto, purtroppo, si parla di continui arresti di centinaia di bloggers e attivisti della rete. Tra questi attivisti perseguitati c'è anche la liceale diciannovenne Tal al-Mallouhi, nel cui blog apparivano contenuti a favore dello sviluppo della democrazia nel suo paese e a favore della causa palestinese. E' stata arrestata nel dicembre 2009, ed i genitori non hanno saputo più nulla di lei fino allo scorso settembre, quando si è saputo che a causa di ciò che scriveva sul suo sito (soprattutto pare a causa di una lettera aperta al presidente americano Obama) era stata incriminata per "intelligence con gli Stati Uniti", ovvero per spionaggio filo-americano. Per questo capo d'accusa a metà febbraio Tal è stata condannata a cinque anni di prigione. Se pure in Italia una notizia del genere non ha trovato molto spazio, l'arresto prima e la condanna ora della liceale hanno suscitato proteste in mezzo mondo, (qui il sito in suo sostegno), le indignate richieste di scarcerazione immediata al governo siriano da parte di organizzazioni come Human Rights Watch, Amnesty International e Reporters Sans Frontiers, oltre che la recente protesta ufficiale da parte del Dipartimento di Stato americano.



Se in Siria i bloggers se la passano maluccio, neanche in Iran si scherza: dopo i casi di Shiva Nazar Ahari condannata a 64 frustrate e sei anni di carcere, di Hossein Derakhshan condannato a 19 anni e mezzo di carcere per "propaganda anti-islamica, blasfemia e cospirazione con governi ostili", e dopo la morte in carcere del giornalista e blogger Omid Reza Mir Sayafi avvenuta nell'ormai lontano 18 marzo 2009, ora al centro del cyber-attivismo iraniano c'è il caso di Hossein Ronaghi, blogger e attivista dei diritti umani, arrestato nel novembre 2009, e ormai da più di un anno in cella di isolamento nell'ala di sicurezza del carcere di Evin, dove sta scontando una lunga pena di 15 anni. Ora pare che Hossein sia malato, e abbia gravi problemi ai reni, e si teme per la sua vita visto il trattamento molto duro che gli viene riservato in carcere. In suo sostegno è stata attivata una campagna attraverso un sito (in arabo) e una pagina facebook.

(Hossein Ronaghi)

A poche settimane dalla scarcerazione anticipata dei blogger azeri Emin Milli e Adnan Hajizade, per i quali si erano mobilitate diverse organizzazioni internazionali e per la cui liberazione si erano pubblicamente appellati alle autorità di Baku sia il presidente degli Stati Uniti Barak Obama che il segretario di Stato Hillary Clinton, l'Azerbaijan continua a dimostrarsi un luogo molto pericoloso per gli attivisti online. Il mese scorso, nel pieno delle sollevazioni in Tunisia ed Egitto, Jabbar Savalan, un giovanissimo membro (20 anni) del fronte popolare dell'Azerbaijan (Apfp) è stato arrestato e condannato a due mesi di carcere in attesa di un processo per delle accuse di droga che le organizzazioni umanitarie considerano pretestuose, poiché il vero motivo per cui Jabbar rischia fino a tre anni di carcere sarebbe quello di aver postato su Facebook un appello a indire la "giornata della collera" anche in Azerbaijan, sul modello delle proteste del Nord Africa e del Medio Oriente. Pochi giorni dopo un altro ragazzo dell'Apfp, Elcin Hasanov, è stato convocato dalla polizia, che gli ha intimato di rimuovere un messaggio che aveva postato sulla sua pagina facebook e col quale richiamava i giovani azeri alla mobilitazione contro l'arresto di Jabbar. Messaggio che Elcin è riuscito a non rimuovere. Ma nel suo paese continua a essere pericoloso non solo avere un blog e scriverci liberamente, ma anche soltanto aggiornare il proprio status su facebook.

(Jabbar Savalan)

Yoani Sanchez nel 2007 ha aperto Generacion Y, il blog indipendente cubano più noto e influente, e che le ha dato grande fama: grazie ad esso ha vinto diversi premi giornalistici europei e americani, che però non ha mai ritirato poiché il governo le vieta di lasciare il paese; i suoi articoli e post vengono tradotti in 18 lingue; il Time nel 2008 l'ha inserita tra le 100 persone più influenti del mondo.
Per i contenuti fortemente critici nei confronti del governo di Raul Castro l'accesso a Generacion Y è spesso sottoposto al blocco della censura, e la Sanchez è stata spesso perseguitata dai mezzi di repressione ufficiali cubani. Nel novembre del 2009, nel corso di una manifestazione contro la violenza, insieme ad altri attivisti della rete viene arrestata e malmenata da "emissari" delle autorità cubane. Tuttavia va detto che a differenza degli altri bloggers richiamati in questo post la giornalista cubana gode dell'attenzione dei media di tutto il mondo, il che non è certo poco.
Qualche giorno fa la Sanchez ha lanciato l'allarme su un progetto di legge molto repressivo a cui starebbe lavorando il governo dell'Avana e che attraverso rigide regolamentazioni intenderebbe limitare l'accesso a internet e alla libera informazione che essa garantisce. A tal proposito Yoani Sanchez si chiede se non sia giunta l'ora che le Nazioni Unite si adoperino per definire il libero accesso a Internet come un diritto fondamentale dell'uomo (possibilità che peraltro è stata teorizzata anche da L'interessante in un post precedente).

Sulla scia delle rivolte del sud del Mediterraneo, hanno ripreso vigore anche molti cyber-attivisti cinesi, tanto che il 19 febbraio da Pechino il presidente cinese Hu Jintao sentiva l'esigenza di ribadire la necessità di controllare più da vicino Internet e di guidare l’opinione pubblica. Manco a farlo apposta il giorno dopo sono stati bloccati tutti i siti che propiziavano una rivoluzione del gelsomino in Cina, e su twitter cinese, sui motori di ricerca, e sulle pagine personali dei social networks è stata bandita la stessa parola "gelsomino".
Basta farsi un giro sul sito dell’ Information Centre for Human Rights and Democracy di Hong Kong per avere un'idea adeguata del numero di bloggers e attivisti che sono stati arrestati dalla polizia per aver incititato i cinesi ad emulare i popoli arabi che si sono rivoltati contro i propri regimi. Questo però non vuol dire certo che in Cina si avvicina l'ora di una sollevazione popolare che spodesterà il regime di Pechino, tutt'altro. La grande montagna di bloggers e appelli online in Cina nel mondo reale ha partorito solo piccoli topolini: i raduni convocati hanno visto la partecipazione di pochi militanti e sono stati piuttosto deludenti, come si può constatare grazie a boxun.com - una comunità online di giornalismo partecipativo che rappresenta una delle più importanti fonti alternative di notizie in Cina - che è riuscita a far filtrare attraverso la censura un video che testimonia la piccola manifestazione che si è tenuta lo scorso 20 febbraio a Pechino.




Infine un caso che esula un po' dagli altri qui richiamati, ma che merita di essere citato perché rende l'idea del tipo (e della mole) di problemi che gli spiriti liberi della rete ancora per molto tempo dovranno affrontare in giro per il mondo, specie in alcuni paesi.
Chiranuch Premchaiporn (per gli amici Jiew) è una webmaster thailandese: diversi mesi fa sul forum del portale che lei gestisce e ha co-fondato, prachatai.com, (prachatai:gente libera), sono apparsi una decina di commenti contro la famiglia reale thailandese. Nonostante Jiew se ne fosse accorta e avesse prontamente rimosso i commenti, le è comunque giunto molto rapidamente dalle autorità locali l'ordine tassativo di eliminarli, cui è seguito l'arresto nel dicembre 2010. Jiew ora rischia fino a 50 anni di carcere, vista l'estrema severità delle leggi che puniscono i crimini di lesa maestà in quel paese. Se è un fatto che la maggior parte dei media thailandesi è di proprietà dell'esercito o dello Stato, e se quindi è un fatto che la Thailandia è un paese in cui la libertà di stampa non può dirsi garantita -, il caso Premchaiporn viene molto seguito dalla blogosfera (in difesa della ragazza è stato creato il blog FreeJiew) perché è un caso limite, dato che l'imputata viene perseguitata non per qualcosa che è stato da lei scritto, ma addirittura per qualcosa scritto da altri ma per cui lei è ritenuta responsabile.

Un caso estremo che tuttavia non esula dalla questione centrale della libertà d'espressione che deve essere garantita a chiunque si esprime (o permette di esprimersi) online. L'elenco di threatened.globalvoicesonline.com riporta anche casi europei, ed è quindi chiaro che, data la natura del web, l'arresto o il rilascio di un blogger in qualsiasi parte del mondo rappresenti una vittoria o una sconfitta non solo per la blogosfera, non solo per internet, ma per tutti gli uomini che hanno a cuore i diritti umani e civili di tutti gli uomini.

Sulla pelle di Jiew e di tanti altri bloggers coraggiosi si gioca dunque una partita che ci riguarda tutti. Ricordiamoci di loro.

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