A dar retta a quanto si sente dire un po' da tutte le parti in questi giorni, i mondiali di calcio sudafricani sarebbero una grande occasione per tutto il continente africano, una vetrina importante per ricordare al mondo intero, tra una partita e una moviola, che esiste l'Africa, e che l'Africa ha bisogno dell'aiuto del mondo intero. Però non ci vuole particolare acume per scorgere una certa malcelata ipocrisia in questa equazione “mondiali di calcio 2010 = grande riscatto dell'Africa” , che dovrebbe finalmente garantire la grande attenzione che si merita il continente nero.
Il 30 giugno, sul Corriere della Sera un bell'articolo di Massimo Nava sottolineava lo strano modo con cui l'opinione pubblica mondiale segue, si appassiona e poi rapidamente perde interesse per crisi lontane, guerre, emergenze, catastrofi ambientali ed umanitarie che un giorno sembrano catalizzare l'attenzione globale, e il giorno dopo sono accantonate, a favore di una nuova tragedia che assurge al suo momento di celebrità. Il fatto è che, a prescindere dai riflettori più o meno puntati, guerre, carestie e quant'altro persistono e perdurano.. Tra sei mesi, al netto di qualche notizia ritenuta appetitosa dai media, quante pagine dei nostri giornali si staranno occupando della fame o della sete che uccidono milioni di bambini, o del genocidio in Darfur, dello Zimbabwe o del delta del Niger?? Eccola l'ipocrisia.....sarebbe meglio – quantomeno più dignitoso - se in questi giorni in tv e sui giornali ci si occupasse solo di calcio, invece che frammentare i resoconti e dibattiti calcistici con brevi, brevissimi ed effimeri richiami all'”Africa”, senza neanche scendere nei “dettagli” di quali siano le crisi che falcidiano quella parte di mondo, di come occorra combattere la povertà o sconfiggere la malnutrizione dei bambini, di quanto siano tragiche le decennali guerre fratricide, delle responsabilità dell'occidente, dell'incapacità di combattere dittature sanguinarie e barbare ...
Il fatto è proprio questo, ed è anche piuttosto banale: l'Africa sta male anche perché il resto del mondo si ricorda di lei solo quando (e come) gli fa comodo, dai tempi delle colonizzazioni e della tratta degli schiavi fino ai giorni nostri, in cui l'egoismo si dispiega in maniera più subdola, con lo sfruttamento e la sottomissione economica e commerciale, ormai non solo da parte dell'occidente (vedasi la Cina negli ultimi 30 anni), e spesso attraverso l'"istituzionalizzazione" di rapporti poco paritari in quegli stessi trattati di cooperazione sottoscritti per l'obiettivo opposto, ovvero per l'emancipazione dei popoli africani.
Circa un mese fa questo blog dava conto delle rimostranze della fondazione One di Bono Vox nei confronti di Berlusconi, reo di non aver dato seguito agli impegni presi in merito all'azzeramento del debito e all'aumento della percentuale di Pil che l'Italia destina agli aiuti al terzo mondo. Ma se è un'evidenza che il tandem Berlusconi-Tremonti al solito non ha mantenuto le promesse e anzi ha tagliato anche qua, senza mettere in alcun dubbio la buona fede e il genuino e lodevole impegno di chi si occupa di far pressioni sui governi occidentali per tali finalità, non è altrettanto certo che gli aiuti di stato verso le fragili e corrotte repubbliche africane siano il modo migliore per sostenere efficaci processi di sviluppo economico e democratico in quei paesi, a meno che non ci si voglia soltanto scaricare la coscienza senza neanche muovere un dito.
Dambisa Moyo, quarantunenne economista dello Zambia, formatasi a Oxford e Cambridge, grazie alle teorie illustrate nel suo libro “Dead Aid” si è guadagnata il titolo di “antiBono”, teorie riassumibili con la constatazione che gli aiuti del mondo sviluppato fanno male, malissimo, all'Africa. Tanto per inquadrare il problema, basti ricordare che negli ultimi 60 anni sono piovuti sull'Africa sotto forma di aiuti ben 2 mila miliardi di dollari..ma la situazione non è migliorata, anzi: per esempio se oggi il 50% degli africani vive con meno di un dollaro al giorno, vent'anni fa la percentuale era la metà. Quindi la situazione, almeno negli ultimi due decenni, è addirittura peggiorata, nonostante i dollari e le presunte attenzioni dei paesi sviluppati. E stando alle tesi contenute in “Dead Aid” il punto non è soltanto quello ben illustrato dall'economista ungherese Peter Bauer, per cui con gli aiuti da governo a governo sostanzialmente si sottraggono soldi dalle tasche dei poveri nei paesi ricchi per infilarli in quelle dei ricchi nei paesi poveri, a causa del meccanismo perverso innescato dalla dilagante corruzione e dalla scarsissima o nulla trasparenza per cui milioni (o miliardi) di dollari finiscono nelle tasche dei vari dittatori e degli esponenti delle classi politiche locali. Per la Moyo il fatto più generale è che l'Africa è diventata un continente sotto un perenne e onnicomprensivo regime di welfare : il che ha causato nei vari governi locali una certa demotivazione ad intraprendere coraggiosi quanto necessari percorsi di riforme nel nome di uno sviluppo sostenibile, o quantomeno politiche di sostegno al settore industriale, agricolo e dei servizi, incentivando invece il mantenimento dello status quo attraverso una crescita smisurata della burocrazia e del potere degli eserciti, tanto poi “arriveranno altri copiosi aiuti”...degna filosofia di questo ”assistenzialismo senza dignità”. La Moyo ne ha per tutti: dai governi occidentali e africani, alle multinazionali, alle rockstars che si fanno buona pubblicità, alle Ong, che a suo dire alla fine erogano alle popolazioni africane appena il 20% dei fondi da loro raccolti e stanziati.
Il 30 giugno, sul Corriere della Sera un bell'articolo di Massimo Nava sottolineava lo strano modo con cui l'opinione pubblica mondiale segue, si appassiona e poi rapidamente perde interesse per crisi lontane, guerre, emergenze, catastrofi ambientali ed umanitarie che un giorno sembrano catalizzare l'attenzione globale, e il giorno dopo sono accantonate, a favore di una nuova tragedia che assurge al suo momento di celebrità. Il fatto è che, a prescindere dai riflettori più o meno puntati, guerre, carestie e quant'altro persistono e perdurano.. Tra sei mesi, al netto di qualche notizia ritenuta appetitosa dai media, quante pagine dei nostri giornali si staranno occupando della fame o della sete che uccidono milioni di bambini, o del genocidio in Darfur, dello Zimbabwe o del delta del Niger?? Eccola l'ipocrisia.....sarebbe meglio – quantomeno più dignitoso - se in questi giorni in tv e sui giornali ci si occupasse solo di calcio, invece che frammentare i resoconti e dibattiti calcistici con brevi, brevissimi ed effimeri richiami all'”Africa”, senza neanche scendere nei “dettagli” di quali siano le crisi che falcidiano quella parte di mondo, di come occorra combattere la povertà o sconfiggere la malnutrizione dei bambini, di quanto siano tragiche le decennali guerre fratricide, delle responsabilità dell'occidente, dell'incapacità di combattere dittature sanguinarie e barbare ...
Il fatto è proprio questo, ed è anche piuttosto banale: l'Africa sta male anche perché il resto del mondo si ricorda di lei solo quando (e come) gli fa comodo, dai tempi delle colonizzazioni e della tratta degli schiavi fino ai giorni nostri, in cui l'egoismo si dispiega in maniera più subdola, con lo sfruttamento e la sottomissione economica e commerciale, ormai non solo da parte dell'occidente (vedasi la Cina negli ultimi 30 anni), e spesso attraverso l'"istituzionalizzazione" di rapporti poco paritari in quegli stessi trattati di cooperazione sottoscritti per l'obiettivo opposto, ovvero per l'emancipazione dei popoli africani.
Circa un mese fa questo blog dava conto delle rimostranze della fondazione One di Bono Vox nei confronti di Berlusconi, reo di non aver dato seguito agli impegni presi in merito all'azzeramento del debito e all'aumento della percentuale di Pil che l'Italia destina agli aiuti al terzo mondo. Ma se è un'evidenza che il tandem Berlusconi-Tremonti al solito non ha mantenuto le promesse e anzi ha tagliato anche qua, senza mettere in alcun dubbio la buona fede e il genuino e lodevole impegno di chi si occupa di far pressioni sui governi occidentali per tali finalità, non è altrettanto certo che gli aiuti di stato verso le fragili e corrotte repubbliche africane siano il modo migliore per sostenere efficaci processi di sviluppo economico e democratico in quei paesi, a meno che non ci si voglia soltanto scaricare la coscienza senza neanche muovere un dito.
Dambisa Moyo, quarantunenne economista dello Zambia, formatasi a Oxford e Cambridge, grazie alle teorie illustrate nel suo libro “Dead Aid” si è guadagnata il titolo di “antiBono”, teorie riassumibili con la constatazione che gli aiuti del mondo sviluppato fanno male, malissimo, all'Africa. Tanto per inquadrare il problema, basti ricordare che negli ultimi 60 anni sono piovuti sull'Africa sotto forma di aiuti ben 2 mila miliardi di dollari..ma la situazione non è migliorata, anzi: per esempio se oggi il 50% degli africani vive con meno di un dollaro al giorno, vent'anni fa la percentuale era la metà. Quindi la situazione, almeno negli ultimi due decenni, è addirittura peggiorata, nonostante i dollari e le presunte attenzioni dei paesi sviluppati. E stando alle tesi contenute in “Dead Aid” il punto non è soltanto quello ben illustrato dall'economista ungherese Peter Bauer, per cui con gli aiuti da governo a governo sostanzialmente si sottraggono soldi dalle tasche dei poveri nei paesi ricchi per infilarli in quelle dei ricchi nei paesi poveri, a causa del meccanismo perverso innescato dalla dilagante corruzione e dalla scarsissima o nulla trasparenza per cui milioni (o miliardi) di dollari finiscono nelle tasche dei vari dittatori e degli esponenti delle classi politiche locali. Per la Moyo il fatto più generale è che l'Africa è diventata un continente sotto un perenne e onnicomprensivo regime di welfare : il che ha causato nei vari governi locali una certa demotivazione ad intraprendere coraggiosi quanto necessari percorsi di riforme nel nome di uno sviluppo sostenibile, o quantomeno politiche di sostegno al settore industriale, agricolo e dei servizi, incentivando invece il mantenimento dello status quo attraverso una crescita smisurata della burocrazia e del potere degli eserciti, tanto poi “arriveranno altri copiosi aiuti”...degna filosofia di questo ”assistenzialismo senza dignità”. La Moyo ne ha per tutti: dai governi occidentali e africani, alle multinazionali, alle rockstars che si fanno buona pubblicità, alle Ong, che a suo dire alla fine erogano alle popolazioni africane appena il 20% dei fondi da loro raccolti e stanziati.
L'economista dello Zambia propone soluzioni alternative, anche drastiche, come il congelamento degli aiuti per qualche anno o comunque una loro razionalizzazione, sulla scia del buon esempio dell'India che dal 2004, dopo aver espressamente chiesto una riduzione degli aiuti, ha cominciato a crescere con tassi a due cifre. Ma sottolinea anche la necessità di investimenti mirati, magari attraverso tecniche di microfinance, e di interventi importanti, come la liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli o il convogliare i cospicui investimenti esteri nelle infrastrutture locali, piuttosto che continuare con il semplice affidamento sugli aiuti a pioggia. Inoltre Dambisa Moyo esorta a imparare a cogliere anche quanto di positivo l'Africa sa esprimere e produrre, e a sostenere in qualsiasi modo i nuovi germogli di sviluppo.
Alla luce di queste considerazioni che sembrano avere più di un fondamento, pare insomma necessario un cambiamento nel modo di concepire il problema africano e le sue possibili vie d'uscita. Un cambiamento che comporti sia modalità più disinteressate da parte dei paesi sviluppati nelle loro relazioni politiche ed economiche con gli stati africani - paradossalmente una delle grandi sfortune dell'Africa è la sua ricchezza di materie prime - , sia più in generale un maggior coinvolgimento di tutti noi. Anche a voler essere bestie e a fregarsene del destino di un miliardo di nostri simili, è evidente che la questione ci interessa comunque da vicino perché , perlomeno per quanto riguarda noi europei, è certo che se in Africa diminuiscono i problemi anche da noi diminuiscono i problemi, e viceversa.
Che si può fare? Forse occorre confidare poco e niente su quanto possono fare gli aiuti da governo a governo. Forse affidarsi alle donazioni e alla carità attraverso organizzazioni di volontariato più o meno religiose e Ong si può fare, ma non troppo passivamente: occorre sempre assicurarsi, per quanto possibile, circa l'effettiva percentuale che giunge alle popolazioni interessate. Forse si può provare a essere consumatori più consapevoli, acquistando con coscienza e conoscenza, punendo le multinazionali che sfruttano, e premiando il commercio equo e solidale. Forse si può provare a essere anche elettori più consapevoli, e richiedere ai nostri rappresentanti un impegno più deciso in tutte le sedi possibili nella lotta alle calamità che colpiscono l'Africa, dai regimi dittatoriali troppo spesso tollerati ai comportamenti speso criminali delle multinazionali, passando per le carestie, la sete, le epidemie, l'aids...
E soprattutto si potrebbe imparare a conoscere e ad amare veramente un continente magnifico non solo per la sua scenograficità, ma soprattutto perché ognuno vi potrebbe trovare un suo personalissimo motivo per amarlo, più di quanto possa accadere con altre aree del pianeta, perché l'Africa è unica, per tanti motivi. Per esempio, per citarne solo uno, perché lì quasi sempre l'uomo vive in un ambiente circostante ostile e predominante e tale che alla fine il rapporto tra esso e la natura si addice al pianeta Terra molto più di quanto possa accadere nel nostro mondo ormai troppo falsato.
L'Africa la si può imparare ad amare in tanti modi che sono alla nostra portata: leggendone, andandoci per brevi esperienze di volontariato o semplicemente in vacanza, conoscendo e apprezzando i prodotti delle sue terre e delle sue culture, interagendo con chi da lì proviene provato ma speranzoso. Insomma non solo digitando 45503 sul cellulare o sorbendosi predicozzi da chi spesso non ne ha titolo. Come me.
Alla luce di queste considerazioni che sembrano avere più di un fondamento, pare insomma necessario un cambiamento nel modo di concepire il problema africano e le sue possibili vie d'uscita. Un cambiamento che comporti sia modalità più disinteressate da parte dei paesi sviluppati nelle loro relazioni politiche ed economiche con gli stati africani - paradossalmente una delle grandi sfortune dell'Africa è la sua ricchezza di materie prime - , sia più in generale un maggior coinvolgimento di tutti noi. Anche a voler essere bestie e a fregarsene del destino di un miliardo di nostri simili, è evidente che la questione ci interessa comunque da vicino perché , perlomeno per quanto riguarda noi europei, è certo che se in Africa diminuiscono i problemi anche da noi diminuiscono i problemi, e viceversa.
Che si può fare? Forse occorre confidare poco e niente su quanto possono fare gli aiuti da governo a governo. Forse affidarsi alle donazioni e alla carità attraverso organizzazioni di volontariato più o meno religiose e Ong si può fare, ma non troppo passivamente: occorre sempre assicurarsi, per quanto possibile, circa l'effettiva percentuale che giunge alle popolazioni interessate. Forse si può provare a essere consumatori più consapevoli, acquistando con coscienza e conoscenza, punendo le multinazionali che sfruttano, e premiando il commercio equo e solidale. Forse si può provare a essere anche elettori più consapevoli, e richiedere ai nostri rappresentanti un impegno più deciso in tutte le sedi possibili nella lotta alle calamità che colpiscono l'Africa, dai regimi dittatoriali troppo spesso tollerati ai comportamenti speso criminali delle multinazionali, passando per le carestie, la sete, le epidemie, l'aids...
E soprattutto si potrebbe imparare a conoscere e ad amare veramente un continente magnifico non solo per la sua scenograficità, ma soprattutto perché ognuno vi potrebbe trovare un suo personalissimo motivo per amarlo, più di quanto possa accadere con altre aree del pianeta, perché l'Africa è unica, per tanti motivi. Per esempio, per citarne solo uno, perché lì quasi sempre l'uomo vive in un ambiente circostante ostile e predominante e tale che alla fine il rapporto tra esso e la natura si addice al pianeta Terra molto più di quanto possa accadere nel nostro mondo ormai troppo falsato.
L'Africa la si può imparare ad amare in tanti modi che sono alla nostra portata: leggendone, andandoci per brevi esperienze di volontariato o semplicemente in vacanza, conoscendo e apprezzando i prodotti delle sue terre e delle sue culture, interagendo con chi da lì proviene provato ma speranzoso. Insomma non solo digitando 45503 sul cellulare o sorbendosi predicozzi da chi spesso non ne ha titolo. Come me.
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