Per ingannare l'attesa della partita Italia-Slovacchia, che purtroppo potrebbe mettere definitivamente in luce i limiti di una nazionale italiana senza stelle e senza gioco, preferiamo guardare indietro invece che avanti (ma molto indietro, per fugare ogni ansia), rievocando quello che era lo sport più diffuso e popolare in Italia almeno fino ai primi anni venti del secolo scorso .
Ovvero il pallone col bracciale, uno sport derivato dalla pallacorda e quindi di origine antiche (greco-romane) ma che in Italia cominciò a prendere piede soprattutto in epoca rinascimentale, e che assurse a sport nazionale tra il XVIII e XIX secolo, con la costruzione degli sferisteri (i campi da gioco con relative tribune), la codificazione delle regole e il diffondersi del professionismo. Il pallone col bracciale ebbe discreta diffusione anche in altri paesi europei come Germania Austria, Francia, Inghilterra e Paesi Bassi.
I campi da gioco, lunghi tra gli 80 e i 100 metri e larghi 15-20 metri, erano di due tipi: con muro d'appoggio (come da foto) o senza, in questo caso era detto campo alla lizza. Le squadre erano composte da tre giocatori: battitore, spalla e terzino (un quarto, un secondo terzino, nel caso di campo senza muro d'appoggio) più il cosiddetto “mandarino” il lanciatore che doveva "mandare" la palla al proprio compagno per la prima battuta. I giocatori erano muniti di un pesante bracciale, un attrezzo di legno cavo e dentato che si indossava su una mano, e con esso dovevano mandare dall'altra parte del campo, eventualmente sfruttando anche la sponda del muro, una sfera di cuoio dal peso di circa 270 gr, che l'altra squadra doveva rimandare al di qua al volo o dopo un rimbalzo, con regole molto simili al tennis (leggile qui o qui).
I cosiddetti “pallonisti” erano un po' come i calciatori di oggi: erano famosi ed erano tra i più ricchi atleti dell'epoca (si parla di compensi paragonabili a quelli che oggi fanno le fortune di gente come Tiger Woods o Raikkonen).
Quando si parla di calcio e letteratura, come esempio più antico di opera o poesia dedicata al calcio viene spesso erroneamente citata la canzone di Giacomo Leopardi dal titolo "A un vincitore nel pallone", pubblicata nel 1824 e dedicata dal poeta di Reacanati a Carlo Didimi, originario di Treia e campione di pallone col bracciale. Nell'ode il Leopardi usa la metafora dello sport per indirizzare agli italiani il suo richiamo a combattere l'ozio e l'ignavia imparando a conoscere il sapore della gloria e il valore della fatica, cosa che gli italici sembravano in grado di fare solo quando si appassionavano alle sfide di pallone col bracciale. Alquanto attuale...
Leggi qui "A un vincitore nel pallone"
Oggi questo sport in auge al momento dell'unità nazionale, e che quindi rivestì un non indifferente ruolo nel processo di unificazione del popolo italiano, non è completamente andato perduto: viene giocato in alcuni comuni di Toscana, Marche ed Emilia Romagna in occasione di tornei folkloristici che rievocano le vecchie tradizioni, come in questo video che riprende la celebrazione che ogni anno rivive a Treia, nelle Marche, proprio la patria dell'atleta cantato dal Leopardi:
Ovvero il pallone col bracciale, uno sport derivato dalla pallacorda e quindi di origine antiche (greco-romane) ma che in Italia cominciò a prendere piede soprattutto in epoca rinascimentale, e che assurse a sport nazionale tra il XVIII e XIX secolo, con la costruzione degli sferisteri (i campi da gioco con relative tribune), la codificazione delle regole e il diffondersi del professionismo. Il pallone col bracciale ebbe discreta diffusione anche in altri paesi europei come Germania Austria, Francia, Inghilterra e Paesi Bassi.
I campi da gioco, lunghi tra gli 80 e i 100 metri e larghi 15-20 metri, erano di due tipi: con muro d'appoggio (come da foto) o senza, in questo caso era detto campo alla lizza. Le squadre erano composte da tre giocatori: battitore, spalla e terzino (un quarto, un secondo terzino, nel caso di campo senza muro d'appoggio) più il cosiddetto “mandarino” il lanciatore che doveva "mandare" la palla al proprio compagno per la prima battuta. I giocatori erano muniti di un pesante bracciale, un attrezzo di legno cavo e dentato che si indossava su una mano, e con esso dovevano mandare dall'altra parte del campo, eventualmente sfruttando anche la sponda del muro, una sfera di cuoio dal peso di circa 270 gr, che l'altra squadra doveva rimandare al di qua al volo o dopo un rimbalzo, con regole molto simili al tennis (leggile qui o qui).
I cosiddetti “pallonisti” erano un po' come i calciatori di oggi: erano famosi ed erano tra i più ricchi atleti dell'epoca (si parla di compensi paragonabili a quelli che oggi fanno le fortune di gente come Tiger Woods o Raikkonen).
Quando si parla di calcio e letteratura, come esempio più antico di opera o poesia dedicata al calcio viene spesso erroneamente citata la canzone di Giacomo Leopardi dal titolo "A un vincitore nel pallone", pubblicata nel 1824 e dedicata dal poeta di Reacanati a Carlo Didimi, originario di Treia e campione di pallone col bracciale. Nell'ode il Leopardi usa la metafora dello sport per indirizzare agli italiani il suo richiamo a combattere l'ozio e l'ignavia imparando a conoscere il sapore della gloria e il valore della fatica, cosa che gli italici sembravano in grado di fare solo quando si appassionavano alle sfide di pallone col bracciale. Alquanto attuale...
Leggi qui "A un vincitore nel pallone"
Oggi questo sport in auge al momento dell'unità nazionale, e che quindi rivestì un non indifferente ruolo nel processo di unificazione del popolo italiano, non è completamente andato perduto: viene giocato in alcuni comuni di Toscana, Marche ed Emilia Romagna in occasione di tornei folkloristici che rievocano le vecchie tradizioni, come in questo video che riprende la celebrazione che ogni anno rivive a Treia, nelle Marche, proprio la patria dell'atleta cantato dal Leopardi:
(Il momento del lancio del mandarino e della prima battuta è forse il più complicato, a volte i tentativi vanno a vuoto e c'è qualche tempo morto: per vedere un po' d'azione corri al minuto 01:50)
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