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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

venerdì 7 maggio 2010

# Elezioni Uk: prime considerazioni

Ieri sera a urne appena chiuse gli exit poll dipingevano una situazione in bilico: su 650 seggi 305 sarebbero andati ai conservatori, (21 in meno rispetto alla maggioranza assoluta) 255 ai laburisti, 61 ai lib-dem di Clegg.
A spoglio praticamente concluso, (manca solo un seggio, quello di Thirsk & Malton, dove il voto è stato rinviato causa morte di uno dei candidati) il risultato definitivo è 306 ai conservatori, 258 ai laburisti, 57 ai lib-dem.
Sostanzialmente, nonostante queste fossero le elezioni d'oltremanica più incerte degli ultimi decenni, gli exit poll c'hanno preso in pieno, se non per una piccola fuoriuscita di voti dai tre partiti principali sostanzialmente verso due partiti di estrema destra, che sono gli unici “piccoli” ad aver guadagnato qualcosa rispetto alle precedenti elezioni: il British National Party ottiene quasi 563.000 voti, ovvero l'1,9%(+1,2%), ma senza seggi, e soprattutto l'Uk independence Party votato da 914.000 inglesi, ovvero il 3,1% (+0,9%).
Se avanza la destra, a differenza che in altri paesi europei, Italia in testa, i partiti a vocazione locale e indipendentista rimangono immobili, ovunque ottengono praticamente lo stesso risultato delle scorse elezioni: il Sinn Feinn nell'Irlanda del Nord, lo Scottish National Party, il gallese Plaid Cymru.
I Lib-dem hanno deluso, ma forse le cose stanno un po' diversamente: Clegg aveva soltanto vinto moralmente due dei tre dibattiti televisivi che hanno scandito questa campagna elettorale. Troppo poco per accreditarlo convintamente come sorpresa di queste consultazioni. In Italia c'erano cascati in molti dei nostri politici , abituati forse a misurare tutto col metro della tv. Questo blog, anche rimarcando che la vecchia Albione non è la vecchia Esperia (dove il 70% degli elettori decide chi votare davanti al teleschermo), si era sicuramente entusiasmato per l'ascesa di un giovane leader di un partito che nel Regno Unito rappresenta più degli altri una politica di rinnovamento, europeista, laica, ambientalista, fuori dalle ormai obsolete contrapposizioni destra-sinistra.
Ma come ha detto bene un Clegg visibilmente deluso, probabilmente i liberali pagano per la crisi, nel senso che in tempi duri l'elettore si fida di più di chi ha sempre votato, più difficilmente lascia il certo per l'incerto.
Aggiungiamo poi che il terremoto finanziario causato dal debito greco, con i riflessi sulle borse europee e sull'euro, potrebbe aver spinto all'ultimo momento per un voto nel segno della miglior tradizione britannica euroscettica, e Clegg è troppo europeista.
Cameron e i Tories vincono perché perdono di brutto i laburisti: semplificando un po', dei 97 seggi che i conservatori hanno guadagnato rispetto alla tornata precedente, quasi tutti sono stati "scippati" in collegi precedentemente laburisti. Segno che, nonostante alcune significative eccezioni come per esempio i collegi di città industriali come Liverpool e Manchester, nel Regno Unito non c'è molta polarizzazione ideologica.
Alla luce dei risultati, si apre ora una fase delicata: Clegg ha ribadito che è disposto ad entrare in una maggioranza formata dal suo partito insieme col partito vincitore, per non tradire il voto degli inglesi. Probabile quindi che si vada verso un governo di coalizione tories+lib-dem, a meno che Cameron non voglia temerariamente tentare la strada di un governo di minoranza.
Una cosa è certa: anche deludendo, i lib-dem nel loro piccolo continuano, elezione dopo elezione, a crescere: questa volta solo +1.0%, ma ormai rappresentano il 23% degli inglesi. Con la conseguenza che il sistema britannico non è più bipartitico, ovvero in questa elezione nessun partito ottiene la maggioranza assoluta, col risultato di un parlamento "appeso", nonostante un sistema maggioritario puro che dovrebbe garantire governabilità a scapito della rappresentatività (per esempio col 23% dei voti proprio i lib-dem ottengono solo l'8,7% dei seggi). E' quindi emerso con chiarezza che è giunta l'ora di riformare il sistema elettorale britannico: lo hanno detto tutti e tre i leaders.

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