2009, le strade di Lhasa controllate dall'esercito cinese
(questo video è stato ripreso da un turista occidentale; magari non tutte le interpretazioni addotte sono condivisibili, ma è comunque un'efficace testimonianza dell'occupazione militare della capitale tibetana)
Dopo un decennio dall'invasione cinese del Tibet, il 10 marzo 1959 cominciava la rivolta di Lhasa : nella capitale asiatica circa 30.000 tibetani circondarono il palazzo del Dalai Lama (la più alta autorità spirituale e temporale, fino a quel momento, del Tibet) per impedire con la loro ostruzione pacifica che il loro leader potesse essere catturato, cosa che si sospettava i cinesi stessero pianificando. Immediata si scatenò la repressione a suon di artiglieria, a cui seguì la vera e propria ribellione degli indipendentisti del Tibet, che però furono presto sterminati dal meglio organizzato esercito cinese. Si dice che rimasero uccisi in 87.000. Il Dalai Lama riuscì a fuggire in India, e da quel dì vive in esilio, portando avanti dall'esterno la sua battaglia ghandiana e non-violenta per l'indipendenza di tutto il popolo tibetano, vittima di un genocidio culturale frutto dell'occupazione militare e dell'annacquamento dell'identità del popolo del Tibet attraverso esplicite politiche di nazionalizzazione portate avanti dal regime di Pechino.
A 60 anni dall'invasione cinese, oggi, nel Tibet così come viene riconosciuto dal governo tibetano in esilio (ovvero su una superficie doppia rispetto a quella oggi occupata dalla Regione autonoma Tibetana che invece è l'unica porzione riconosciuta dalla Cina) i tibetani sono 6,5 milioni, contro gli ormai 7,5 milioni di cinesi di etnia Han.
(questo video è stato ripreso da un turista occidentale; magari non tutte le interpretazioni addotte sono condivisibili, ma è comunque un'efficace testimonianza dell'occupazione militare della capitale tibetana)
Dopo un decennio dall'invasione cinese del Tibet, il 10 marzo 1959 cominciava la rivolta di Lhasa : nella capitale asiatica circa 30.000 tibetani circondarono il palazzo del Dalai Lama (la più alta autorità spirituale e temporale, fino a quel momento, del Tibet) per impedire con la loro ostruzione pacifica che il loro leader potesse essere catturato, cosa che si sospettava i cinesi stessero pianificando. Immediata si scatenò la repressione a suon di artiglieria, a cui seguì la vera e propria ribellione degli indipendentisti del Tibet, che però furono presto sterminati dal meglio organizzato esercito cinese. Si dice che rimasero uccisi in 87.000. Il Dalai Lama riuscì a fuggire in India, e da quel dì vive in esilio, portando avanti dall'esterno la sua battaglia ghandiana e non-violenta per l'indipendenza di tutto il popolo tibetano, vittima di un genocidio culturale frutto dell'occupazione militare e dell'annacquamento dell'identità del popolo del Tibet attraverso esplicite politiche di nazionalizzazione portate avanti dal regime di Pechino.
A 60 anni dall'invasione cinese, oggi, nel Tibet così come viene riconosciuto dal governo tibetano in esilio (ovvero su una superficie doppia rispetto a quella oggi occupata dalla Regione autonoma Tibetana che invece è l'unica porzione riconosciuta dalla Cina) i tibetani sono 6,5 milioni, contro gli ormai 7,5 milioni di cinesi di etnia Han.
Nel 2008, proprio nella ricorrenza del 10 marzo, su iniziativa dei monaci tibetani, cominciò una rivolta non-violenta che ebbe molta eco sulla stampa internazionale, soprattutto per come fu repressa dall'esercito cinese: si parlò di carri armati e spari sui dimostranti; il numero di vittime non è mai stato appurato con precisione; di certo ci sono 735 tibetani tuttora detenuti perché colpevoli di aver esercitato i propri diritti civili.
E dal video qui sopra si evince come a tutt'oggi i soldati controllino il territorio lasciando poca fantasia a chi volesse vederci altro che non un'occupazione militare.
Tra l'altro in questi ultimissimi giorni, all'avvicinarsi dell'importante ricorrenza del 10 marzo, pare che siano parecchio aumentati gli episodi di repressione, a suon di arresti, perquisizioni, interrogatori.
I diritti umani e civili in Tibet d'altronde sono calpestati regolarmente da ormai 60 anni. Il "tetto del mondo" ormai non è che un altro scenario di una delle tante tragedie che colpiscono minoranze indifese.
Informati sulla campagna "March 10 – Because we are Tibetan"
E dal video qui sopra si evince come a tutt'oggi i soldati controllino il territorio lasciando poca fantasia a chi volesse vederci altro che non un'occupazione militare.
Tra l'altro in questi ultimissimi giorni, all'avvicinarsi dell'importante ricorrenza del 10 marzo, pare che siano parecchio aumentati gli episodi di repressione, a suon di arresti, perquisizioni, interrogatori.
I diritti umani e civili in Tibet d'altronde sono calpestati regolarmente da ormai 60 anni. Il "tetto del mondo" ormai non è che un altro scenario di una delle tante tragedie che colpiscono minoranze indifese.
Informati sulla campagna "March 10 – Because we are Tibetan"
Il palazzo Potala, a Lhasa (in tibetano Lhasa = Trono di Dio)
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