Il Ministro dell'economia ha più volte affermato di voler perseguire una politica di rigore sui conti pubblici; questo orientamento si rifletterà anche nella finanziaria, coperta in gran parte con gli introiti dello scudo fiscale: con essa il governo ha previsto un rilevante impegno economico sugli ammortizzatori sociali, ma non perseguirà politiche di bilancio anticicliche, per via degli scarsi margini di manovra consentiti, ovvero per non andare a peggiorare ancor di più il rapporto debito pubblico/Pil. Ed infatti Tremonti ha affermato che nel 2010 “si farà deficit solo per la cassa integrazione”, in linea con l'idea che il sostegno ai redditi dei lavoratori sia al momento la principale priorità del governo. Ma è su questo punto che qualche giorno fa c'è stato l'ennesimo sbotto di un ministro: questa volta è toccato a Brunetta, che, a fronte dei niet di Tremonti a qualsiasi richiesta di stanziamento ha replicato affermando come anche nel rigore si possa fare sviluppo , cosa che Tremonti non farebbe.
Ma perlomeno questa politica di rigore perseguita dal governo ottiene risultati? Sembrerebbe proprio di no: il debito pubblico italiano cresce, e secondo recenti dati dell'Ocse è cresciuto di addirittura quasi 10 punti nel solo 2009 (da circa 105% del PIL a quasi 115%) e potrebbe raggiungere il 120% entro il 2011. Più nello specifico, il supplemento al bollettino statistico di Banca d'Italia del 13 novembre 2009 (documento n.60 in questa pagina del sito bancaditalia.it )pubblica, tra gli altri, due grafici ben poco rassicuranti sull'andamento del debito pubblico e sul fabbisogno delle amministrazioni pubbliche: crescono entrambi, e parecchio.
(clicca per ingrandire)Ma perlomeno questa politica di rigore perseguita dal governo ottiene risultati? Sembrerebbe proprio di no: il debito pubblico italiano cresce, e secondo recenti dati dell'Ocse è cresciuto di addirittura quasi 10 punti nel solo 2009 (da circa 105% del PIL a quasi 115%) e potrebbe raggiungere il 120% entro il 2011. Più nello specifico, il supplemento al bollettino statistico di Banca d'Italia del 13 novembre 2009 (documento n.60 in questa pagina del sito bancaditalia.it )pubblica, tra gli altri, due grafici ben poco rassicuranti sull'andamento del debito pubblico e sul fabbisogno delle amministrazioni pubbliche: crescono entrambi, e parecchio.
Qui del rigore sbandierato ai quattro venti non c'è traccia, per via di una spesa pubblica in costante crescita sempre e comunque, a cui non si accompagna un aumento (costante) delle entrate. Forse il rigore non si è attuato dove più ce n'era bisogno..
Si potrebbe giustamente obiettare che è normale che lo Stato abbia meno entrate e più spese durante una crisi economica, ed è sicuramente vero, ma bisogna vedere effettivamente in che misura influisce questa dinamica, e comunque pare che quella di gonfiarsi sia una tendenza del debito pubblico tipica degli anni di governo di centro-destra. Ciò lo si può dedurre anche con quanto divulgato con successo da quattro studenti italiani della London School of Economics, che durante la campagna elettorale del 2008 fecero circolare alcune slides in cui mettevano a confronto e commentavano le serie storiche del debito con l'alternarsi dei governi negli ultimi 15 anni.
Nel filmato si fa riferimento a dati inoppugnabili, al di là di valutazioni certamente di parte che però sono anch'esse difficilmente contestabili in questo caso. In confronto al centro-sinistra, che per esempio con l'impopolare e drastica politica fiscale di Padoa Schioppa aveva fatto calare il rapporto debito pubblico/Pil di 3 punti nel solo 2007 (da 106,5% a 103,5%), si rimprovera al centro-destra la scarsa attitudine alla lotta all'evasione fiscale(tant'è che mi permetto di ricordare che uno dei primi interventi dell'attuale governo Berlusconi è stato quello di eliminare le dure norme anti-evasione volute da Padoa Schioppa, come quella sulla tracciabilità dei pagamenti), e più in generale l'attuazione di politiche fiscali poco efficaci, a fronte delle quali, per coprire spese crescenti, si è intervenuto con provvedimenti una tantum che non hanno inciso sulla nostra economia.
Appurato che nonostante le intenzioni la nostra posizione debitoria è in peggioramento (e gli interessi passivi che ogni anno paghiamo sono sempre più una vera e propria calamità per il paese: decine di miliardi di euro distolti da possibili politiche sociali e di sviluppo), verrebbe da chiedersi se almeno le poche misure anticrisi “possibili” adottate dall'esecutivo in questi mesi abbiano avuto o stiano avendo un qualche effetto positivo. Secondo uno studio dell'ISAE (il rapporto è disponibile in questa pagina cliccando sull'audizione del 14 ottobre 2009) l'impatto delle manovre predisposte dal governo nel 2009 per l'anno stesso (misurato come stimolo fiscale in percentuale del Pil) è stato pari allo 0,0%, in confronto con l'1,0% della Francia, il 2,3 della Spagna, l'1,4% della Germania e del Regno Unito, e l'1,1% della media dell'Ue-27.
Nel documento, che va ricordato è stato presentato alle Commissioni bilancio congiunte di Camera e Senato, viene specificato più volte, a giustificazione dello 0 nella riga dell'Italia, che "Per alcuni paesi, tra cui l’Italia, dato il limitato spazio di manovra consentito, l’impatto delle misure risulta neutro o di riduzione del deficit, essendo stato compensato da interventi specifici." ...Fatto sta che sempre zero è lo stimolo netto che si è creato...
Quindi gli interventi una tantum attuati, sia che fossero destinati a lavoratori, disoccupati o fasce più deboli, sia che fossero incentivi per elettrodomestici e per automobili, sia che fossero la detassazione sugli utili reinvestiti per le imprese (in un momento in cui gli utili sono al minimo e la dinamica d'investimento è molto bassa, data la scarsa fiducia) hanno avuto un impatto molto scarso o limitato nel tempo, senza alcun perdurante stimolo per i consumi, per il reddito delle famiglie, per la ripresa degli investimenti, per la produttività.
Ergo si può concludere, almeno relativamente all'anno che si sta per chiudere, che la politica economica del governo si è caratterizzata per molto poco rigore, e per poca incisività. Per il momento l'Italia se la cava, forse perché la “botta” della crisi è stata meglio attutita in un paese i cui cittadini risparmiano molto e si indebitano poco, ma è evidente che bisognerà mettere sul piatto qualcosa di più efficace, qualche intervento strutturale o “addirittura” qualche riforma per poter risalire la china e soprattutto rimanere competitivi e al passo con le altre grandi economie mondiali.
Ce ne sarebbe per tutti i gusti: investire nella ricerca il 3% del PIL come indicato dall'Agenda di Lisbona; investire di più e meglio sulla formazione; riformare il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali nel nome della flexicurity (ovvero coniugando flessibilità e sicurezza); riformare le pensioni (innalzamento e equiparazione tra uomini e donne dell'età pensionabile); attuare un vasto programma di liberalizzazioni, attuare una vera riforma della giustizia, scommettere sulle rinnovabili piuttosto che su fonti energetiche inquinanti, costose e d'importazione ( o piuttosto che sulle centrali nucleari, per la cui costruzione ci vogliono 10 anni); investire su infrastrutture veramente prioritarie per l'economia del paese ma anche per la sicurezza dei cittadini che vivono in aree di dissesto idro-geologico, e non sul Ponte...(per cui però con la finanziaria probabilmente verranno stanziati i primi 470.000.000).
Niente di tutto ciò è previsto nella manovra economica per il 2010, o rientra almeno nei piani del governo per i prossimi mesi, anche se si tratta spesso di riforme non troppo costose per lo Stato, tutt'altro....ma forse molte di esse sono costose in altri termini, ovvero in termini di consenso.
Nessun commento:
Posta un commento