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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

sabato 22 gennaio 2011

IMAGO Timkat a Lalibela

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Ieri si è conclusa quella che può senz'altro ritenersi la più importante festa del calendario della chiesa ortodossa d'Etiopia, il Timkat, l'epifania etiope, una vera e propria festa nazionale che si snoda attraverso tre giorni di riti e celebrazioni, imperniati sul 19 gennaio, data in cui si commemora il battesimo di Gesù Cristo nel Giordano. In questa più che in altre ricorrenze religiose si manifesta in tutta la sua varietà l'incredibile sentimento religioso degli etiopi ortodossi, molto devoti e molto legati alle tradizioni. I fedeli affluiscono dai piccoli villaggi verso le città o i principali centri religiosi del paese. Qui le celebrazioni cominciano la sera della vigilia quando da tutte le chiese e i monasteri vengono prelevate dagli altari e fatte uscire con solenni processioni le Tabot, venerate copie in legno o in pietra di quelle Tavole sacre (quelle con i dieci comandamenti) che sarebbero contenute nell'Arca dell'Alleanza, che proprio gli etiopi custodirebbero da due millenni ad Axum. Ricoperte da tessuti cerimoniali damascati per non essere dissacrate dagli sguardi degli infedeli, le Tabot vengono trasportate dai sacerdoti e deposte in una tenda cerimoniale o in un'urna sacra al centro di un'area attigua ad un corso o ad uno specchio d'acqua, che simboleggerà la fonte battesimale e la cui acqua viene benedetta. Le processioni che accompagnano in questo viaggio rituale le Tabot sono caratterizzate da canti e balli al ritmo dei tamburi, dei corni, e dei sistri agitati ritmicamente dai monaci; insieme alla musica si diffonde anche l'odore di incenso, mentre non sfugge il contrasto tra i colori delle decine di parasoli in velluto ricamati in oro, dei paramenti colorati, delle vesti di broccato dei sacerdoti con il mare di bianco degli shamma, i tradizionali abiti di cotone che indossano i fedeli. Preti e monaci vegliano e pregano tutta la notte, e verso le due ha solitamente luogo una messa; moltissimi pellegrini dormono tutto attorno alla tenda, per restare vicini alle Tabot. Al mattino del 19 arriva il momento più simbolico, quello in cui i sacerdoti aspergono con l'acqua benedetta le Tabot, le croci e gli altri oggetti sacri, e le persone, quando non sono esse stesse ad immergersi nell'acqua, richiamando così il rito del battesimo nel Giordano. Il terzo giorno, in cui si festeggia San Michele Arcangelo, le Tabot vengono riportate sugli altari delle chiese con processioni variopinte come sopra.
Oltre che essere un momento molto importante del calendario ortodosso, la festività ha dunque le sue peculiarità e i suoi ingredienti, così come ha il suo pane (l'ambasha) e il suo piatto tradizionale (pecora da macellare e cucinare con le varie spezie). I riti e le tradizioni che caratterizzano il Timkat, frutto di una antica contaminazione di elementi cristiani con elementi ebraici nonché influssi tribali africani, sono rimasti immutati nei secoli - tanto immutati che per esempio ancora oggi molti pellegrini si muovono a piedi per distanze siderali, impiegando anche diverse settimane per compiere il pellegrinaggio -, e il Timkat quindi non può che essere una manifestazione dal grande impatto emotivo anche per un osservatore esterno.
Il quale sperimenterebbe un vero e proprio viaggio in un altro mondo e in un altro tempo se tante volte avesse la fortuna di assistere a tali celebrazioni in uno scenario incredibile come quello di Lalibela (2600 m s.l.m), oggi poco più di un grande villaggio emarginato tra le spigolose e bellissime montagne e canyons del centro nord del paese, ma dal glorioso passato (fu Roha, una delle capitali della dinastia discendente dall'Impero di Axum) e tuttora importante città santa d'Etiopia, seconda solo ad Axum. A Lalibela nel XII sec. fu deciso di realizzare un imponente complesso religioso rupestre, formato da 11 splendide chiese monolitiche ricavate scavando nella morbida roccia rossa tufacea di origine vulcanica, tutte collegate tra loro da angusti e bui cunicoli sotterranei; fu anche scavato un lungo solco artificiale dove tuttora scorre un fiumiciattolo comunemente chiamato Giordano. Anche i nomi di molte delle chiese richiamano tematiche bibliche. I collegamenti sotterranei, così come più in generale il concepimento della costruzione di chiese all'interno della montagna, e il frequente richiamo a episodi del vecchio testamento, si spiegano con quello che probabilmente fu lo scopo originario dell'immane opera - immane perché gli archeologi hanno stimato in alcune decine di migliaia di uomini la forza lavoro che in un paio di decenni scolpì poco più che a mani nude le chiese di Lalibela - : l'idea fu quella di costruire una "seconda Gerusalemme", a fronte della recente conquista musulmana della città santa (1187), per opera del Saladino. La città del tempio di Salomone non era mai stata così lontana, d'altronde immensi territori a dominazione musulmana già da tempo l'avevano resa inarrivabile per i cristiani (e per gli ebrei) di quella parte di Africa. E quindi fu decisa la costruzione di una Gerusalemme di Etiopia, per mano del Re di allora, appunto Lalibela(1181-1221), personaggio contornato da numerose leggende, a partire da quella sul suo nome, che significa "Di cui le api riconoscono la sovranità", poiché alla nascita fu circondato da uno sciame d'api senza venirne punto, il chè venne interpretato dalla madre come un segno del futuro regale di quel suo figlio che in realtà era secondogenito. In seguito, la paura del fratello più grande Harbay di vedersi scippare il trono lo portò a tentare di avvelenare il fratellino, e la leggenda narra che Lalibela, caduto in un sonno di morte durato tre giorni, venne portato dagli angeli a Gerusalemme, e Dio gli ordinò di costruire sulla base di quello che aveva potuto ammirare nuove Chiese come non se ne erano mai viste al mondo. E così all'inizio del XIII secolo vedeva la luce la nuova città santa etiope: un suggestivo e mistico luogo di preghiera, una nuova e più accessibile meta di pellegrinaggi, un luogo perfetto per il proselitismo e l'insegnamento dei dogmi della religione, grazie alla diffusa simbologia e ai continui richiami agli episodi biblici. Ma il tutto, in un'epoca di forti contrapposizioni religiose, doveva essere il più possibile al riparo da occhi indiscreti, e così le chiese vennero scavate all'interno della roccia, col risultato che nonostante sorgessero in una posizione dominante su un'ampia vallata, fossero praticamente invisibili, mimetizzate com'erano tra le aride e monumentali asperità delle montagne della zona.
Nonostante l'attuale presenza di quattro orribili strutture, degli enormi tetti antipioggia poggianti su piloni di cemento e acciaio, da poco installati su 5 delle 11 chiese per una iniziativa controversa della Commissione europea finalizzata alla preservazione delle chiese dai danneggiamenti degli agenti atmosferici, nel complesso il luogo conserva inalterata un'aurea mistica notevole e unica, specie grazie alla vastità e varietà di edifici, di corridoi, di tombe rupestri, di arcate, finestre e portali scavati nella roccia con tanta arte e con un know-how impensabile per l'epoca; inoltre sullo sfondo di tutto questo si stagliano le cime del Monte Abune Yosef (alte fino a 4200 m), già di per sé un grande spettacolo.
Per tutto questo visitare Lalibela durante il Timkat può essere un'esperienza davvero unica, poiché in quei giorni, all'aurea mistica che già da sole emanano le suggestive costruzioni nella roccia rossa, si aggiunge la sacralità che viene loro conferita dall'eclettico e originale fervore religioso degli etiopi ortodossi; per esempio qui i fedeli e i pellegrini, nelle veglie di preghiera o nei canti e nei balli che accompagnano le tabot, si dispongono in strane sagome, o in cima alla roccia dove sono scavate alcune delle chiese rupestri, o attorno alla più bella di essa, Bet Giyorgis.

Vedi qui una bella galleria fotografica della BBC dedicata al Timkat a Lalibela.

Breve quanto efficace documentario del National Geographic:

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