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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

lunedì 24 gennaio 2011

# Dimission impossible


"Dimettermi? Siete Matti?". E' incredibile la facilità con cui Silvio Berlusconi con tre parole-slogan sia riuscito ad incarnare tutta una filosofia e una storia che km di intercettazioni e chili di libri di Vespa non riuscirebbero mai a spiegarti così bene: sembra aver detto "perché mai, dopo tutto quello per cui sono riuscito a non dimettermi, dovrei farlo ora per qualche insignificante storia di donnine?"
Ma d'altronde negli ultimi tempi quella di dimettersi pare essere diventata un'ipotesi che viene presa in considerazione molto ma molto di rado: per esempio, per restare alla stretta attualità - e anche per restare dalle parti del premier - non le ha mai veramente contemplate il ministro Bondi, nonostante non solo i crolli di Pompei, ma nonostante soprattutto i vergognosi casi Bonev e Indaco, ancor più vergognosi se si considera l'entità dei contemporanei tagli alla cultura perpetrati dal machete di Tremonti senza la minima opposizione del fragile Sandro. Allo stesso modo al di là dei soliti vani annunci neanche il sindaco di Roma Gianno Alemanno si è sentito di dover lasciare, nonostante la "parentopoli" e nonostante una inarrestabile catena di inchieste giudiziarie che attanaglia ormai quotidianamente il Campidoglio (l'ultima in ordine cronologico riguarda Francesco Maria Orsi, un consigliere comunale pdl vicino al sindaco, che è indagato per corruzione, riciclaggio e cessione di stupefacenti alle immancabili prostitute).
Di certo la malattia delle dimissioni impossibili non è solo nostrana: la totale perdita di dignità in politica, permessa forse dal generale decadimento dei costumi indotto dai media di massa, che finiscono per alzare la soglia di tolleranza di un'opinione pubblica sempre più assuefatta alle peggiori nefandezze, è certamente un fenomeno che travalica i confini nazionali. Per esempio neanche negli Stati Uniti c'è mai stata una grossa cultura delle dimissioni, e non si intravedono cambi di rotta: l'ultima a snobbarle è stata Hillary Clinton, nonostante sia stata letteralmente sputtanata da Wikileaks. In Gran Bretagna però le cose sembrano andare diversamente: lì pochi giorni fa si sono dimessi quasi contemporaneamente il conservatore Andy Coulson, capo della comunicazione del governo Cameron, e il laburista Alan Johnson, cancelliere dello scacchiere nel governo ombra di Ed Miliband. Il primo per un'inchiesta che lo vede coinvolto in virtù del suo impiego precedente, quando era direttore di News of the World e i suoi giornalisti erano usi intercettare politici e personaggi dello spettacolo alla ricerca dello scoop. Johnson ha sempre negato di sapere alcunché, e non è stato provato che ha mentito, ma il peso delle polemiche e della pressione mediatica lo ha convinto alle dimissioni, non potendo più rivestire la sua carica con la dignità e l'autorevolezza dovuti.
Alan Johnson invece si è dimesso dopo un'esperienza di ministro ombra costellata di gaffe e poco altro, e costantemente criticata dalla stampa inglese; il colpo di grazia è arrivato dalla crisi che sta vivendo nella sua vita privata - la moglie lo tradiva col suo caposcorta -, e dal conseguente "indotto gossipparo" che lo ha messo in una ben poco dignitosa luce sugli schermi e sui tabloids d'oltremanica.
A proposito di gossip, se nel Regno Unito di gossip si può perire, in Italia di gossip si può ferire. Il New York Times, in un recente ennesimo approfondimento sull'Italia e su chi la governa dal titolo "Surreal: A Soap Opera Starring Berlusconi" tra le altre cose descrive l'attuale situazione italiana come una "commedia surreale e tragicomica in cui fatti e finzione, realtà e reality televisivo si confondono, in una terra in cui apparenza e realtà sono a lungo rimaste nebulose".
E l'ultima puntata di questa sitcom -"commedia" sarebbe pretendere troppo, anche perché una commedia dopo un po' finisce - a metà tra realtà e reality sembra essere in corso proprio in queste ore, con la sensazione che a tutte le scuderie del premier (dalla carta stampata ai tg e talk show mediaset, tg1 compreso) sia arrivato l'ordine di insistere nel tentare di derubricare tutto l'affaire Ruby a una persecuzione giudiziaria basata sul gossip diffuso per fini politici da ficcanaso prevenuti e forse anche un po' invidiosi. E' tutto gossip, è tutto privato, e quindi è solo su questo terreno che si combatte (vedi Ruby da Signorini). Non c'è alcun riflesso politico, non è dovuta alcuna comparizione nei tribunali. Anzi, è tutto inventato e fine della storia. Tuttavia, a meno di non avere l'assoluta certezza che i propri lettori e spettatori siano una indistinta massa di rincoglioniti, la strategia del negare tutto di fronte a sempre maggiori evidenze, ma anche soltanto il tentativo di occultare le gravi implicazioni politiche di alcune dubbie frequentazioni del premier a suon di "è solo gossip" e/o "così fan tutti", sembrano solo avventate mosse tipiche o di chi è sicuro che tanto se la caverà comunque, o di chi ormai è spacciato e non ha vie migliori da seguire. Solo il tempo dirà quale delle due ipotesi si sarà più avvicinata alla realtà.
Tuttavia qui il punto non è quello che fanno alcuni giornali o televisioni per difendere il proprio editore, per quanto la cosa possa scandalizzare o intenerire - parano i colpi di qualcosa che negano e minimizzano all'inverosimile ma che in realtà li ossessiona. Il punto è che questo è l'operato solo di una parte della squadra che lavora per il grande capo, quello che foraggia tutta la baracca. Difatti Lui possiede (sotto una sorta di ricatto morale dovuto alla sua imparagonabile forza contrattuale, insomma sottaceto) anche il pdl, una nutrita schiera di uomini fedeli che siedono nei Palazzi Chigi, Montecitorio e Madama, pronti senza battere ciglio a disattendere gli impegni presi con lo Stato e con i cittadini al momento della loro elezione o del loro insediamento per dedicarsi invece a tempo pieno, ancora una volta, all'esclusiva e strenua difesa del Cavaliere.
Politici-sottaceto pronti anche al ridicolo, e all'assurdo: in questi giorni si va dalla proposta ventilata in ambienti Pdl circa nientemeno che l'abbassamento a 16 anni della maggiore età (già ribattezzato "Lodo Ruby"), ad una proposta avanzata da deputato Alessio Butti, capogruppo del Pdl in Commissione di Vigilanza Rai, mirante a garantire l’originalità dei palinsesti attraverso la regola che "i temi prevalenti trattati da un programma non costituiscano oggetto di approfondimento di altri programmi, anche di altre reti, almeno nell’arco di otto giorni successivi alla loro messa in onda". Insomma se lunedì Vespa parla del Rubygate, poi il primo che in tutta la Raitv ne potrebbe riparlare sarebbe Floris a Ballarò, ma il martedì della settimana successiva.
Che il Pdl sia un partito anomalo d'altronde si sa: a volte però può sfuggire qualche implicazione di questi congegni inusuali che regolano il partito tornato ad essere tutto del Presidente.
Qualche giorno fa l'Economist in un articolo dal titolo "A party animal" cercava di spiegarsi perché, a differenza di quanto accadrebbe in qualsiasi altro paese europeo, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nonostante questo sia il sesto scandalo sessuale che lo coinvolge, rimanga saldamente al suo posto. Beh la spiegazione che si da il settimanale britannico sembra essere convincente:

Come è stato già evidenziato nei precedenti casi, il meccanismo che porterebbe alla fuoriuscita dei politici altrove non è applicabile in Italia, perlomeno non a Berlusconi[...] in altri Stati sarebbero gli stessi esponenti del partito coinvolto a chiedere all'indagato di farsi da parte per il bene comune. Ma la legge elettorale votata proprio dalla maggioranza berlusconiana nel 2006 rende i parlamentari italiani dipendenti dai loro leader per una eventuale rielezione. Questo è vero soprattutto nel Pdl dove in molti devono la loro carriera politica proprio a Berlusconi.(traduzione da Corriere.it)

Questo potrebbe essere un buon argomento da opporre non solo a chi ancora non ravvisa l'urgenza di una riforma elettorale, ma anche a chi da in escandescenze non appena sente nominare la parola "regime", una parolaccia che molti proprio non possono sentire. Già perché se il principale partito nazionale, che quindi rappresenta la principale fetta di italiani, al suo interno così come in Parlamento non opera mai secondo regole democratiche ma sempre secondo gli alquanto squilibrati rapporti di forza esistenti tra il presidente-padrone e tutti i suoi sottoposti, è evidente che poi questo meccanismo alterato produca situazioni altrove insostenibili, oltre che largamente deficitarie di democrazia, e lontane anni luce dalle risposte che andrebbero date per l'interesse del paese che si governa. Esattamente come capita adesso, vista la totale impossibilità nel pdl anche solo di prefigurare un eventuale passo indietro del premier, e vista anzi la profusione di impegno nel cercargli agili vie d'uscita che possano salvaguardarne l'immagine e soprattutto la carica, nonostante queste non siano certo le principali priorità della nazione.
D'altronde non è affatto male vedere nel pdl lo strumento di questa ombra di regime, il piedistallo stabile che permette al nostro Marco Aurelio di restare bene in sella nonostante le tante onde d'urto. Fa comodo vederla così, veramente. Perché spiegazioni alternative potrebbero essere ben più scomode e spiacevoli, come per esempio quella che la giornalista Rachel Donadio nel sopracitato articolo del NewYork Times cerca di dare al perché dell'eterna invincibilità (e inamovibilità) del Cav:

"Nei nastri delle intercettazioni che stanno emergendo nello scandalo, dozzine di donne sembrano venire incoraggiate da loro amici e familiari ad avvicinare Berlusconi il più possibile, in modo da poter ricevere in qualche modo un qualche aiuto per le loro carriere. Egli rimane il più grande padrone in una società patronale, e quindi molti italiani lo accettano".


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