(Da Unità.it - 23/03/2010)
(Da Corriere.it - 06/11/2010)
Si dice che l'ultimo di questa sequela di "incidenti", il crollo della "Schola Armaturarum Juventis Pompeiani"che sta facendo il giro del mondo (strabiliante come l'Italia riesca sempre a fare notizia di questi tempi..), fosse più che annunciato. In effetti nei mesi scorsi sono state molte le denunce sullo stato d'abbandono dell'area archeologica di Pompei, uno dei più importanti siti archeologici del pianeta: tra gli altri negli ultimi mesi ne ha parlato L'Espresso, che ha messo l'accento sui tagli e sulle scarse risorse pubbliche destinate in Italia alla cultura (lo 0,29% del Pil, quota destinata a calare ulteriormente), e il Corriere della Sera, con un disarmante reportage e un editoriale di Rizzo sui restauri infiniti e selvaggi (vedasi la gru crollata a gennaio sulla casa dei Casti Amanti), logica conseguenza dell'insensata decisione presa un paio di anni fa dal governo e dal Ministero dei Beni Culturali di commissariare Pompei. Una decisione che all'epoca Bondi definì "un atto d'amore nei confronti della cultura". Purtroppo con tutto l'amore di Bondi le cose non sono proprio andate nel verso giusto, il che era anche preventivabile, visto che il carattere di straordinarietà del commissariamento ha significato anzitutto la concessione al commissario dei pieni poteri "in deroga", annullando il controllo preventivo delle delibere a scapito di quella trasparenza che poi sarebbe proprio quello che a Pompei non c'è mai stato e che ci vorrebbe proprio, visto il delicato e complesso contesto sociale. Al contrario con il commissariamento e l'impiego dal 2009 della Protezione civile le inefficienze e i costi sono aumentati mentre non sono affatto diminuite le infiltrazioni di interessi privati nella gestione dell'area archeologica. Ma nonostante tutto alle critiche del Corriere del mese scorso Bondi e il sottosegretario Giro hanno risposto piccati rivendicando i presunti progressi fatti con i commissariamenti.
Si dice che l'ultimo di questa sequela di "incidenti", il crollo della "Schola Armaturarum Juventis Pompeiani"che sta facendo il giro del mondo (strabiliante come l'Italia riesca sempre a fare notizia di questi tempi..), fosse più che annunciato. In effetti nei mesi scorsi sono state molte le denunce sullo stato d'abbandono dell'area archeologica di Pompei, uno dei più importanti siti archeologici del pianeta: tra gli altri negli ultimi mesi ne ha parlato L'Espresso, che ha messo l'accento sui tagli e sulle scarse risorse pubbliche destinate in Italia alla cultura (lo 0,29% del Pil, quota destinata a calare ulteriormente), e il Corriere della Sera, con un disarmante reportage e un editoriale di Rizzo sui restauri infiniti e selvaggi (vedasi la gru crollata a gennaio sulla casa dei Casti Amanti), logica conseguenza dell'insensata decisione presa un paio di anni fa dal governo e dal Ministero dei Beni Culturali di commissariare Pompei. Una decisione che all'epoca Bondi definì "un atto d'amore nei confronti della cultura". Purtroppo con tutto l'amore di Bondi le cose non sono proprio andate nel verso giusto, il che era anche preventivabile, visto che il carattere di straordinarietà del commissariamento ha significato anzitutto la concessione al commissario dei pieni poteri "in deroga", annullando il controllo preventivo delle delibere a scapito di quella trasparenza che poi sarebbe proprio quello che a Pompei non c'è mai stato e che ci vorrebbe proprio, visto il delicato e complesso contesto sociale. Al contrario con il commissariamento e l'impiego dal 2009 della Protezione civile le inefficienze e i costi sono aumentati mentre non sono affatto diminuite le infiltrazioni di interessi privati nella gestione dell'area archeologica. Ma nonostante tutto alle critiche del Corriere del mese scorso Bondi e il sottosegretario Giro hanno risposto piccati rivendicando i presunti progressi fatti con i commissariamenti.
Tuttavia ora che le piogge che hanno causato il crollo della palestra dei gladiatori di Pompei rimettono vagamente in discussione la politica attuata su Pompei, Bondi si difende col pretesto della scarsità di fondi per la manutenzione, dimenticando che è noto che Pompei, a differenza di molte altre aree archeologiche di rilevante interesse storico e culturale oltreché turistico, ha una sua autonoma Soprintendenza che in teoria sarebbe dotata di fondi non esigui. Il problema casomai è vedere poi che uso si fa di questi soldi.
Anche se il commissariamento - che si è "affiancato" alla soprintendenza, peraltro rimasta per mesi senza guida e oggetto di manovre poco limpide - evidentemente non ha migliorato l'efficienza, Bondi persegue sulla sua strada, prospettando ora anche la creazione una Fondazione ad hoc, che aprirebbe ancor più la strada ai privati (e ai loro interessi particolari) nella gestione delle opere di restauro e manutenzione del patrimonio archeologico di Pompei, chiudendo al contempo la porta agli esperti, visto che per esempio nel Comitato ristretto creato dal Ministero beni culturali che in queste settimane sta vagliando l’ipotesi di istituire e la Fondazione non risulta neanche un archeologo (lo denuncia Italia Nostra).
Ma quello di Pompei è solo l'ultimo esempio delle conseguenze concrete della cattiva amministrazione generata da una politica disattenta verso l'immenso patrimonio archeologico italiano: i crolli della primavera scorsa che a Roma hanno interessato il Colosseo e il Colle Oppio e in Toscana un tratto delle vie Cave etrusche di Pitigliano dimostrano che purtroppo la situazione è generalizzata, e sarà per la mancanza di fondi, sarà per le scelte discutibili (anche a Roma si è proceduto con un poco produttivo commissariamento, della Soprintendenza), fattostà che l'Italia è sempre più spesso colpevole di un gravissimo triplice crimine. Non c'è coscienza dell'inestimabile ricchezza storico-culturale disseminata su tutto il territorio, e che c'invidia il mondo intero; di conseguenza non c'è pudore, siamo osceni; e non c'è nemmeno quel barlume di buon senso che se non per amore della storia e della cultura perlomeno per la necessità di creare ricchezza e occupazione dovrebbe far sì che qualsiasi governo nazionale o locale punti alla conservazione e alla valorizzazione di siti dall'elevato richiamo turistico.
Se ora a seguito del crollo della Schola Armaturarum sarà applicata qualche pezza al parco archeologico di Pompei, ci mettiamo la mano sul fuoco che, una volta scemata l'attenzione, non sarà avviata neppure una riflessione sullo stato generale della gestione del patrimonio archeologico in Italia. Occorrerà ancora che di volta in volta i crolli richiamino l'attenzione sullo stato di abbandono dei vari siti e sul da farsi (augurandosi che non ci scappi mai il morto). E così si continuerà ad intervenire rigorosamente "dopo". E continuerà a piovere sul bagnato.
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