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[...]Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili[...] (Epicuro, Lettera a Meneceo)

mercoledì 3 marzo 2010

# Non solo Cina, ma anche Messico, Indonesia, Italia: le grandi democrazie alle prese con internet

La sede di Google a Pechino

La rigida censura del regime di Pechino è cosa nota , così com'è nota la recente diatriba tra Google e il governo cinese , nata a seguito di violazioni di hackers sugli account gmail di alcuni dissidenti cinesi, e che ha portato prima a una quasi-ritirata di Google dalla Cina , e poi a una quasi-crisi diplomatica tra Pechino e Washington. Ora la querelle sembra rientrata, negoziati sono in corso , ma per il momento nulla (in meglio) è cambiato sul motore di ricerca .
Se oggi su Google.cn si digita 民主 (democrazia), o 人權 (diritti umani), i risultati saranno filtrati, sul video ne appariranno meno di quanti dovrebbero, ed in fondo alla pagina apparirà scritto in nero:


据当地法律法规和政策,部分搜索结果未予显示

che significa: "In accordo con le leggi, i regolamenti e le politiche locali, parte dei risultati di ricerca non sono mostrati".

Stando alle notizie più recenti però non è solo in Cina che la diffusione di internet crea problemi ai governi locali. Qualche esempio:

In Messico per esempio ai primi di febbraio il governo ha annunciato provvedimenti restrittivi nei confronti di Twitter e degli altri social networks , attraverso una proposta di legge che dovrebbe istituire una sorta di cyberpolizia che veglierebbe sul rispetto di una nuova regolamentazione dei contenuti dei messaggi postati dagli utenti sui social networks. Questo perché le autorità locali hanno forti sospetti che i narcotrafficanti abbiano trovato in essi, e specialmente in Twitter, la nuova frontiera per comunicare nell'ambito delle loro attività criminali, per esempio usando il microblogging per lo scambio di informazioni veloci e sicure per facilitare il lavoro di corrieri e spacciatori. Ovviamente si sono subito levate le proteste delle associazioni messicane a difesa dei diritti civili, per le conseguenze che un tale provvedimento avrebbe su tutta la rete, ma la questione resta tuttora in piedi. Una stretta su Twitter d'altronde era stata proposta già qualche mese fa, quando venne alla luce un altro uso poco lecito del web da parte dei Twitteros messicani: gli scambi di informazioni in tempo reale per sapere (e quindi evitare) i luoghi dove di sera si appostavano le pattuglie della polizia con i loro etilometri...

In Indonesia l'11 febbraio scorso con un comunicato stampa del Ministero per la Comunicazione e Informazione il governo ha manifestato la propria intenzione di “prendere una posizione contro i casi di cattiva condotta su internet” attraverso la regolamentazione dei contenuti multimediali online. La volontà del governo di Giakarta è soprattutto quella di operare una stretta su pornografia e gioco d'azzardo online, ma la legge per estensione potrebbe riguardare anche social networks e altri strumenti online che più che altro diffondono libertà di parola e d'espressione. Secondo la proposta di legge il team già esistente preposto al vaglio dei contenuti multimediali online sarà rinforzato con 30 elementi e si dovrà occupare anche di segnalare i siti con contenuti “negativi” (?), fare multe, revocare permessi... A seguito delle ovvie proteste di massa (anche su facebook: il gruppo SOS Internet Indonesia ad oggi conta già quasi 18.000 sostenitori), il 22 febbraio il presidente Yudhoyono e il ministro proponente Sembiring hanno fatto qualche passo indietro ammorbidendo le loro posizioni, e garantendo meccanismi più democratici oltre che maggior sensibilità in questa materia, pur senza rinunciare a predisporre il provvedimento.

In Italia invece la notizia più fresca (2 marzo) è la dichiarazione che Michael Posner, l'assistente segretario di Stato americano per la democrazia, i diritti umani e il lavoro, ha reso durante un'audizione del Senato americano in merito alla recente condanna da parte del tribunale di Milano nei confronti di 3 dirigenti di Google Italy per la diffusione su Youtube, nel 2006, di un video in cui un disabile affetto da autismo veniva maltrattato da alcuni compagni. Il video era rimasto online per due mesi, prima di essere rimosso da Youtube, poche ore dopo la segnalazione del video da parte della polizia giudiziaria italiana.
La sentenza è il primo caso a livello internazionale per cui dirigenti di Google sono colpevoli penalmente per contenuti postati dagli utenti in una delle piattaforme della società di Mountain View . Gli inquirenti italiani hanno affermato che con questo processo si è “posto un problema serio, ossia la tutela della persona umana che deve prevalere sulla logica di impresa”.
Posner ieri ha invece definito distressing, deprimente, la condanna a sei mesi con la condizionale dei tre dirigenti per “violazione della privacy” , poiché a suo avviso le autorità italiane hanno tentato di imporre ai rappresentanti di un'impresa privata una censura preventiva dei contenuti, dicendosi preoccupato per le conseguenze che questa sentenza potrebbe avere a livello globale, e ricordando inoltre che youtube non appena venuta a conoscenza del video postato l'aveva rimosso dalla sua piattaforma in meno di due ore.
L'assistente segretario di Stato conclude che si tratta di un caso su cui bisogna vigilare.

Il portavoce di Google Bill Echikson in precedenza aveva definito la sentenza una decisione stupefacente che intacca il principio della libertà d'espressione.

Anche l'ambasciatore statunitense in Italia David Thorne si è detto negativamente colpito dalla sentenza: al di là dell'ovvia condanna delle riprovevoli immagini del video, l'alto diplomatico non è d'accordo con questo precedente per cui viene affibiata responsabilità preventiva agli internet provider sui contenuti postati dagli utenti.

Lo stesso New York Times, dedicando alla vicenda un ampio articolo titolato "Una minaccia più grande nel caso Google" ha sottolineato come quello italiano sia il primo caso in cui Google (o qualsiasi altra piattaforma online) viene giudicato non come un mero strumento a disposizione degli utenti ma, al pari di tv e giornali, come un fornitore di contenuti, e quindi, come gli altri editori, deve sottostare a delle regole. Il NYT, a questo proposito, sospetta (citando i "critics of Berlusconi") che se in Italia è forte più che in altri paesi europei la volontà di regolamentare il mondo del web, ciò potrebbe essere dovuto anche e soprattutto al conflitto d'interessi del Presidente del Consiglio, e alla volontà politica di mantenere il controllo sui mezzi di comunicazione e sull'opinione pubblica limitando la crescente concorrenza che il web attua nei confronti della tv pubblica e privata.

E lunedì 1 marzo in consiglio dei Ministri è stato approvato il c.d decreto Romani che introduce una nuova normativa per i media televisivi e online . In recepimento della direttiva europea sugli audiovisivi (il decreto contiene norme di tutti i tipi, dalla tutela dei minori davanti alla tv e al pc, ai tetti pubblicitari e a quote di italianità nei contenuti per i canali tv) il provvedimento aveva suscitato polemiche già nei giorni scorsi poiché si era ventilato potesse rivelarsi un vero e proprio giro di vite per imbavagliare il web.
Per fortuna col testo definitivo sembrano scongiurati i pericoli per i siti internet tradizionali (blog compresi): per questi è infatti decaduto l'obbligo di richiesta di autorizzazione ministeriale per l'avviamento di una attività di pubblicazione di contenuti audiovisivi, che avrebbe significato uno scandaloso limite al mondo del web degno del peggior regime. Ambiguità rimane invece attorno a Youtube e simili: il regime di autorizzazione si applica infatti a qualsiasi “servizio media audiovisivo”, definito come “un servizio di media audiovisivo fornito da un fornitore di servizi di media per la visione di programmi al momento scelto dall'utente e su sua richiesta sulla base di un catalogo di programmi selezionati dal fornitore di servizi di media".
Insomma, poiché è menzionata anche la qualità di servizio a richiesta, nella definizione potrebbe rientrare anche un provider come Youtube, che in caso sarebbe obbligato non tanto ad un vero e proprio controllo preventivo sui contenuti, quanto piuttosto ad una sorta di dichiarazione di inizio attività che comporterebbe comunque maggiore responsabilità su quanto pubblicato, con chissà quali conseguenze per l'operatività della piattaforma in Italia, che sarebbe obbligata all'applicazione di filtri che ne pregiudicherebbero seriamente il funzionamento.
Intanto però è certo che la richiesta di autorizzazione al ministero è necessaria per i servizi live streaming e simili...
Quindi un colpo al web c'è stato eccome, magari non con limitazioni alla libertà d'espressione tout court, ma con argini alla crescente concorrenza delle web-tv e dello streaming nei confronti della tv tradizionale.

Staremo a vedere quali saranno gli ulteriori sviluppi.

自由在互聯網 !!

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